,,

Yara Gambirasio

Tutto quello che c'è da sapere su Yara Gambirasio, la ginnasta di Brembate di Sopra scomparsa e ritrovata senza vita

di Marta Ruggiero

Yara Gambirasio è una ragazzina di appena 13 anni. Le sue uniche preoccupazioni sono la scuola e la ginnastica ritmica, la sua più grande passione che coltiva nella palestra di Brembate di Sopra, piccolo Comune in provincia di Bergamo dove vive. La sua vita viene completamente stravolta, o per meglio dire spezzata, a novembre del 2010.

I genitori non la vedono rientrare dall’allenamento e si allarmano. Risiedono in un paesino tranquillo, la loro bambina è obbediente e con la testa sulle spalle, pensano subito che possa esserle successo qualcosa. Purtroppo hanno ragione, ma la conferma arriva tre mesi dopo quel maledetto 26 novembre, quando il suo corpo senza vita viene ritrovato in aperta campagna a Chiagnolo d’Isola, a dieci chilometri da casa sua.

La scomparsa di Yara Gambirasio

Il giorno in cui i media danno la notizia della scomparsa di Yara Gambirasio rimane scolpito nella memoria di tutti gli italiani. La giovane età della ragazza, il suo volto sorridente e appassionato ritratto durante uno dei tanti allenamenti svolti nella sua seconda casa, il centro sportivo cittadino, fanno sì che si crei subito un legame con lei e la sua famiglia: un’empatia che la trasforma un po’ nella sorella e la figlia di tutto il Paese.

Nel corso delle settimane le indagini non si fermano, ogni giorno che passa la preoccupazione aumenta e la mamma e il papà di Yara – con una compostezza e una dignità che colpiscono – chiedono l’aiuto di tutti. Il supporto arriva e la comunità intera si attiva nelle ricerche. Le ultime notizie certe sulla ragazza risalgono alle 17.30 del 26 novembre. Le sue tracce si perdono poco più di un’ora dopo, quando, a fine lezione, non torna a casa.

Purtroppo le videocamere di video sorveglianza non sono d’aiuto: sono tutte disattivate. Gli inquirenti scoprono che il suo telefono aggancia una cella attorno alle 18.40, un’altra a distanza di cinque minuti, una terza alle 18.55, dopodiché il nulla.

Lo sviluppo delle indagini

Il 5 dicembre 2010, nove giorni dopo la scomparsa, viene fermato Mohammed Fikri, operaio di 22 anni originario del Marocco che lavora in un cantiere edile di Mapello. Sono i cani molecolari a condurre gli inquirenti all’uomo, ed è proprio a Mapello che trovano l’ultima traccia della 13enne.

Inizialmente, un’intercettazione telefonica sembra inchiodare il sospettato, ma poi si scopre che la traduzione dall’arabo è errata. L’uomo in un primo momento pare dire “che Allah mi perdoni”, considerazione successivamente rivista in “che Allah mi protegga”. Fikri risulta estraneo ai fatti.

Intanto, il 26 febbraio del 2011, viene ritrovato il corpo senza vita di Yara Gambirasio. A notarlo è un aeromodellista che frequenta le campagne di Chignolo d’Isola per far volare in sicurezza i suoi veivoli. L’autopsia rivela un trauma cranico importante, una ferita al collo profonda e almeno altri sei colpi compatibili con un’arma da taglio. Non vengono rinvenuti segni di violenza sessuale.

In un secondo momento si ipotizza che la ragazzina sia morta successivamente all’aggressione subita, a causa del freddo e delle lesioni riportate. Il 28 maggio si tengono i funerali, seguiti da migliaia di persone.

“Ignoto 1” e il ruolo di Massimo Bossetti, la svolta

Per trovare l’assassino di Yara viene comparato il DNA di “Ignoto 1”, ritrovato in prossimità del taglio sul collo, con quello di più di venticinquemila persone. Il 14 giugno del 2014 Massimo Bossetti – 44enne, muratore di Mapello, incensurato – viene arrestato perché le tracce sul corpo della vittima sono sovrapponibili con il suo DNA nucleare.

A Bossetti si arriva dopo la una serie di rilevamenti incrociati che riportano a Giuseppe Guarinoni, autista di autobus deceduto nel 1999 (identificato come il padre naturale di “Ignoto 1”), e a Ester Arzuffi, il cui DNA nucleare corrisponde alla metà materna del profilo rintracciato dagli inquirenti e riconducibile all’assassino di Yara Gambirasio. La prova genetica dimostra la corrispondenza fra Bossetti e l’autore dell’omicidio.

Il movente dell’omicidio viene ricollegato a “un contesto di avances a sfondo sessuale", ma rimane poco chiara la dinamica del presunto rapimento della vittima: non si sa se Yara salga volontariamente o meno a bordo del furgone di Bossetti.

La difesa ritiene la prova su cui si fondano l’arresto e il processo insufficiente. Non è solo Massimo Bossetti a professarsi sempre innocente, lo difende anche la moglie che gli fornisce un alibi per la sera della scomparsa. Tuttavia la procura chiude le indagini nel 2015, c’è un unico imputato per il quale viene chiesto il rinvio a giudizio.

Gli avvocati difensori chiedono la scarcerazione e il rito abbreviato. Il DNA mitocondriale minoritario apparterrebbe a un altro individuo, sostengono i legali di Bossetti.

Il 1º luglio del 2016 viene condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio di Yara Gambirasio, con l’aggravante della crudeltà. All’uomo viene anche revocata la responsabilità genitoriale sui suoi tre figli.

In Appello, la difesa deposita una nuova prova: una fotografia satellitare che dimostrerebbe come il corpo della vittima sarebbe stato spostato e il DNA depositato successivamente al delitto. Il tribunale conferma la pena anche in secondo grado e in Cassazione.

Massimo Bossetti: “Non ho ucciso io Yara Gambirasio”

Massimo Bossetti non smette di dichiararsi innocente, chiede anche agli organi di stampa di aiutarlo attraverso una lettera che spedisce a Vittorio Feltri, direttore di Libero Quotidiano. Sostiene di aver subìto pressioni.

Anche l’avvocato Carlo Taormina, da privato cittadino, deposita un'istanza di riesame del DNA alla procura, così da ottenere la revisione del processo. Nel 2021 tutte le richieste presentate dagli avvocati di Bossetti vengono rigettate.

Yara Gambirasio e la pista del cantiere

Nel 2013 il giornalista e scrittore Roberto Saviano, nel suo libro dal titolo ZeroZeroZero, parla di possibili legami fra la morte di Yara Gambirasio e i cantieri edili del Bergamasco. Ipotizza che la ragazzina possa essere morta per volere della criminalità organizzata, che gestisce il traffico di cocaina locale.

Il padre della vittima, geometra, infatti, nel 2011 lavora per la Lopav, ditta che all’epoca dei fatti ha un appalto proprio nel cantiere di Mapello. Amministratore è Patrizio Locatelli, figlio di Pasquale Claudio, imprenditore che si pensa sia coinvolto nel narcotraffico. Secondo Saviano Fulvio Gambirasio è testimone in un processo contro la famiglia Locatelli e l’omicidio della figlia sarebbe una ritorsione da parte della mafia. L’ipotesi, però, viene subito smentita dal diretto interessato e il giornalista viene accusato di diffamazione ai danni di Gambirasio e Locatelli, accusa successivamente archiviata.

Tutte le notizie su: Yara Gambirasio
,,,,,,,,