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Rimane tetraplegico dopo un tuffo e sceglie il suicidio assistito in Svizzera: "La vita non un è un obbligo"

Un 40enne di Termoli ha deciso di recarsi in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito, ancora non regolato in Italia

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In Svizzera per morire. Un uomo di 40 anni, tetraplegico da 20 a causa di un tuffo in mare, ha deciso di ricorrere al suicidio assistito. In una lettera la spiegazione della sua decisione: “La vita è un diritto, non un obbligo”.

La decisione e il viaggio in Svizzera

Davide Macciocco, un uomo tetraplegico di 40 anni di Termoli, provincia di Campobasso, ha scelto il suicidio assistito. Andrà in Svizzera, con l’associazione Dignitas, per eseguire le procedure necessarie che in Italia, pur essendo legali, non sono ancora regolamentate.

“Dipendere totalmente dagli altri anche per un semplice gesto come fumarsi una sigaretta è difficile, non c’è libertà, nessuna autonomia nonostante la mia famiglia abbia sempre assecondato ogni mio desiderio e capriccio” ha dichiarato l’uomo in una lettera con cui ha chiarito le motivazioni della sua scelta.

La decisione è arrivata a 20 anni dal tuffo in mare che ha causato la rottura delle vertebre C4 e C5 e la conseguente paralisi totale dal collo in giù. Nel frattempo Macciocco era diventato agente sportivo per due network.

L’incidente e la paralisi

L’incidente che aveva causato la paralisi di Macciocco era avvenuto nel 2003, quando l’uomo aveva soltanto 20 anni. Si era tuffato da un trabucco nel vecchio porto di Termoli, di testa, da un’altezza di circa 6 metri.

L‘acqua in cui si era buttato aveva però una profondità di soli 1,5 metri, non abbastanza per attutire l’impatto con il fondale sabbioso. Portato immediatamente in ospedale è operato, fu tenuto per tre giorni in coma farmacologico.

Al risveglio i medici gli comunicarono la diagnosi: lesione midollare C4-C5 e conseguente tetraplegia completa. Macciocco cominciò un lento percorso di riabilitazione e una nuova vita in sedia a rotelle, durata 20 anni.

L’appello alle istituzioni italiane

La lettera contenuta nelle ultime volontà di Davide Macciocco ha un destinatario preciso: “È rivolta anche alle istituzioni italiane affinché non venga preso nessun provvedimento giudiziario nei confronti di chi mi ha semplicemente accompagnato, o meglio dato un passaggio”.

Nel nostro Paese infatti non esiste una legge che regoli il suicidio assistito, ma esiste al contrario il reato di aiuto al suicidio. Una sentenza della Cassazione ha affermato, la cosiddetta Sentenza Cappato, che in determinati casi questo reato non si configura.

Senza una legge che regoli le procedure però, rimane possibile che chi accompagna una persona in un altro Stato per consentirgli di morire come da lei scelto incorra in un procedimento legale.

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