Influenza aviaria H5N1 in una pecora, allarme di Bassetti per l'uomo: "Arriverà, è solo questione di tempo"
Per la prima volta il virus dell'influenza aviaria H5N1 è stato trovato in una pecora. Secondo Bassetti arriverà a colpire l’uomo, è solo questione di tempo
La scoperta del virus dell’influenza aviaria H5N1 in una pecora nel Regno Unito ha portato a innalzare i livelli di allerta. Negli Stati Uniti ha causato un abbattimento di massa di pollame (e la conseguente guerra delle uova), ma pochi giorni fa è stato individuato in un ovino nella zona agricola dello Yorkshire. La pecora è stata uccisa per evitare il rischio di trasmissione. Al momento si tratta dell’unico caso, ma il rischio che si possa verificare un’epidemia preoccupa. Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, ne ha parlato ai microfoni di Virgilio Notizie.
- Il caso di aviaria nel Regno Unito
- Cos’è il virus H5N1, responsabile dell'influenza aviaria
- Il rischio di focolai e passaggio all’uomo
- Le precauzioni indispensabili
- Le vittime in Cambogia
- L’intervista a Matteo Bassetti
Il caso di aviaria nel Regno Unito
Il timore degli esperti del Department for Environment, Food and Rural Affairs (Defra) britannico è che in realtà possano esserci altri esemplari ammalati, ma non ancora scoperti, che potrebbero alimentare una maggiore circolazione del virus e dar luogo a focolai.
“Sebbene questa sia la prima volta che questo virus è stato segnalato in una pecora, non è la prima volta che l’influenza di origine aviaria è stata rilevata nel bestiame in altri Paesi”, hanno spiegato dal Defra.

Per ora “non ci sono prove di un aumento del rischio per gli animali allevati nel Regno Unito”, hanno comunque sottolineato gli esperti.
Cos’è il virus H5N1, responsabile dell’influenza aviaria
Il virus H5N1 è lo stesso responsabile dell’influenza aviaria, che continua a creare enormi problemi negli Stati Uniti.
In questo caso, infatti, ha costretto ad abbattere migliaia di polli e galline, provocando una penuria di uova, alimento molto richiesto e consumato negli USA.
Questo ha costretto ad aumentare le importazioni dal Messico (con un effetto-contrabbando che le forze di polizia americane stanno cercando di contrastare) e alla richiesta di maggiori forniture da altri Paesi all’estero.
Come se non bastasse si teme che il virus possa trasmettersi anche all’uomo, dopo la segnalazione di alcuni contagi.
Il rischio di focolai e passaggio all’uomo
A spaventare è proprio la possibilità che il virus possa compiere un salto (il cosiddetto spillover), passando all’uomo.
Si tratta, infatti, di un virus molto instabile e che si evolve in rapidamente.
Finora le infezioni in America hanno interessato, oltre al pollame, anche le mucche da latte, con test positivi rilevati proprio nel latte crudo.
Se H1N5 dovesse diffondersi anche tra gli ovini significherebbe che il patogeno ha maggiori probabilità di mutazioni che ne possono facilitare la trasmissione ai mammiferi, uomo compreso.
Le precauzioni indispensabili
Per questo “tutti gli allevatori devono mantenere una buona biosicurezza, essenziale per proteggere la salute e il benessere dei loro animali e fondamentale per prevenire l’ulteriore diffusione della malattia in caso di epidemie. Sebbene il rischio per il bestiame rimanga basso, chiedo a tutti i proprietari di animali di garantire una scrupolosa pulizia e di segnalare immediatamente qualsiasi segno di infezione”, ha esortato Christine Middlemiss, responsabile veterinario del Regno Unito.
Le vittime in Cambogia
Le prime vittime umane, in realtà, ci sono state, precisamente in Cambogia.
Si tratta di un bambino di 3 anni e mezzo, residente della provincia di Kratie, nel Nord-Est del Paese, morto proprio di influenza aviaria.
I sintomi segnalati sono quelli classici delle patologie influenzali, come febbre, tosse e dispnea.
Il bimbo era stato ricoverato e posto invano in terapia intensiva.
Nel suo caso fatale sarebbe stato l’aver mangiato pollame ammalato.
Prima si erano registrati altri due decessi da inizio anno, ma dal 2003 a oggi in Cambogia sono stati segnalati 75 casi di infezione umana da virus aviario H5N1, con 46 decessi.
L’intervista a Matteo Bassetti
Finora il problema ha riguardato il pollame, basti pensare alla “crisi delle uova” in America, e in parte i bovini. Il rischio di interessare gli ovini, cosa rappresenta, come va valutato?
“Una premessa è doverosa: ogni volta che si parla di aviaria scatta la paura, mentre si dovrebbe assumere un atteggiamento di attenzione prudente e razionale al problema. Detto ciò, è evidente che prima o poi l’aviaria arriverà a colpire anche l’uomo: la comunità scientifica non ha dubbi riguardo al fatto che la prossima infezione che riguarderà anche l’uomo sarà dovuta all’H5N1, se lo si chiede a 100 scienziati ed esperti, in 101 risponderanno affermativamente. A negare questo rischio, invece, sono i rappresentanti della politica”.
Perché si ritiene così probabile che l’aviaria interesserà anche la specie umana?
“Perché parliamo di un virus molto furbo, in circolazione ormai da 25 anni dal momento che i primi casi risalgono alla fine anni ’90. Ha già causato molte epidemie, prima nel sudest asiatico (in Vietnam, Laos, Cambogia, Cina) poi, tramite gli uccelli migratori, è stato portato ovunque e ha interessato specie differenti: volatili, mammiferi, bipedi, ecc. Ha una grande capacità di mutare, è camaleontico”.
Quali animali ha colpito finora e quali rappresentano i maggiori rischi per l’uomo?
“Finora ha infettato i polli, gli uccelli, ma anche leoni marini, foche, ecc. È chiaro che quando inizia a colpire anche i bovini di allevamento o le pecore (per non parlare dei gatti, che finora sono stati casi isolati) può diventare un enorme problema contenerlo ed evitare che si trasmetta all’uomo, data la vicinanza”.
Si teme, dunque, uno “spillover”, un passaggio all’uomo, e che poi diventi trasmissibile da uomo a uomo?
“Esatto. Finora il passaggio è stato per via indiretta, da animale a uomo. Ma basta una singola mutazione per passare da uomo a uomo. Ci auguriamo che accada il più tardi possibile, ma sappiamo che potrà succedere e quindi dovremmo prepararci. Purtroppo oggi non lo siamo”.
Come si potrebbe curare un’influenza aviaria nell’uomo? Esistono già dei farmaci?
“Abbiamo a disposizione degli antivirali, ma di recente sembra che il virus sia diventato farmaco-resistente, che dunque non siano più così efficaci. La capacità di mutare rapidamente, inoltre, potrebbe rendere inefficaci anche i vaccini studiati e messi a punto finora. Alcuni di questi sono anche già stati approvati in Europa, mentre altri antivirali sono in fase di studio iniziale, con test sui topi, quindi occorrerebbe ancora qualche anno per poterne disporre”.
Oggi, dunque, non saremmo pronti in caso di epidemia o pandemia?
“Io temo di no, anche perché si dovrebbe valutare la capacità produttiva di vaccini e farmaci: a oggi ce n’è una quantità limitata e destinata soprattutto ad uso veterinario (per gli animali) e per gli operatori del settore, che hanno contatti più ravvicinati con gli animali d’allevamento. C’è allo studio anche un vaccino a mRNA contro l’influenza aviaria, dunque c’è un certo fervore. Ma questo deve essere supportato a livello politico ed è qui che noto più debolezza. Per esempio, gli USA hanno mostrato posizioni ambigue a riguardo, ma si dovesse fermare la macchina farmaceutica e di ricerca americana, che è la più importante al mondo, le conseguenze sarebbero disastrose per tutti”.
Esistono delle possibili precauzioni che possono essere prese?
“La principale è quella di cercare di mantenere una certa distanza col mondo animale, evitando contatti continui e molto ravvicinati. Ma è anche difficile pensare a precauzioni nel caso in cui il virus si avvicinasse tanto all’uomo, per esempio colpendo in modo massiccio i gatti domestici. Ciò che va fatto è cercare, piuttosto, di non farsi trovare impreparati a livello organizzativo sanitario”.
In che modo?
“Per esempio dotandoci tutti di sistemi diagnostici adeguati: se si dovessero notare polmoniti anomale, che non rispondono alle terapie standard e non rientrassero nelle normali casistiche, bisognerebbe prendere in considerazione che si tratti di aviaria. Questo significa essere preparati, insieme al dotarsi di farmaci in quantità sufficiente, se aumentassero i casi, o di vaccini in caso di focolai. Non occorrono piani pandemici sulla carta, ma una reale organizzazione sul campo”.
