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Come ridurre i rischi della demenza seguendo alcune sane abitudini: lo studio e l'intervista a Elio Scarpini

Alcuni comportamenti, insieme a peso, livello di colesterolo, glucosio e pressione, possono ridurre i rischi di demenza: a cosa fare attenzione

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Sono oltre un milione gli italiani che già convivono con la demenza. Di questi, 600 mila sono i casi di Alzheimer, una delle forme di demenza senile che, secondo le previsioni, è destinata ad aumentare maggiormente, complice anche l’allungamento dell’età media. Secondo uno studio, però, ci sarebbero 7 indicatori su cui intervenire, riducendo i rischi. Si tratta di 7 ‘buone abitudini’. A Virgilio Notizie ne ha parlato Elio Scarpini, professore di Neurologia presso il centro Dino Ferrari dell’Università degli Studi di Milano – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

La demenza secondo l’Oms: la drammatica previsione per il 2050

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2050 si potrà arrivare a 153 milioni di persone che nel mondo soffriranno di demenza, ossia tre volte quelle attuali.

Al momento non esistono farmaci specifici per queste patologie, se non quelli che agiscono su alcuni sintomi.

demenza diagnosiFonte foto: 123RF

La prevenzione è fondamentale: lo studio giapponese

Per questo, prevenire diventa fondamentale. E proprio la prevenzione può passare da alcune sane abitudini.

Uno studio giapponese condotto su 13.720 donne con un’età media di 54 anni, presentato al congresso American Academy of Neurology, dimostra che proprio le abitudini possono fare la differenza.

Il campione, infatti, è stato seguito per oltre 20 anni, analizzando lo stile di vita e alcuni parametri medico-sanitari, come il colesterolo, la glicemia, ma anche l’attività fisica eseguita con regolarità.

Ne è emerso che ci sono 7 indicatori sui quali è possibile intervenire per ridurre i rischi di demenza: si va dall’alimentazione al controllo di parametri come quelli relativi a glicemia e pressione.

Lo studio giapponese, dopo un lungo monitoraggio sulle donne prese in esame, mostra come il 13% (1.770) abbia sviluppato la malattia: seguendo ciascuna delle indicazioni positive, però, si sarebbe potuto ridurre il rischio di demenza del 6%.

L’intervista a Elio Scarpini

La prima buona abitudine riguarda la vita attiva, la cui importanza è confermata a Virgilio Notizie anche da Elio Scarpini, professore di Neurologia presso il centro “Dino Ferrari” dell’Università degli Studi di Milano – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano: “Sicuramente la vita attiva riveste un ruolo di primaria importanza, ma io aggiungerei un ottavo fattore, ossia la vita attiva mentale, oltreché fisica”, premette l’esperto.

In cosa consiste e perché è importante mantenere un certo livello di attività mentale, ai fini della prevenzione?  

“Tenere il cervello sempre in allenamento ha effetti molto positivi per la prevenzione delle patologie neurocognitive, esattamente come l’attività fisica. Ce lo dimostrano gli studi condotti finora e, riguardo l’attività fisica, questo probabilmente è dovuto al fatto che migliorano il metabolismo e la circolazione, portando a effetti positivi a livello sistemico, quindi a tutto l’organismo”, spiega Scarpini.

Quali possono essere le attività più consigliate per mantenere “in allenamento” il cervello?

“Per attività mentale spesso si pensa alla lettura, che in realtà da sola non è sufficiente, perché è piuttosto passiva. Perché il cervello funzioni occorre che i neuroni siano maggiormente stimolati in modo attivo, ad esempio con l’enigmistica o con le relazioni sociali, che sono fondamentali. Quando invece è necessario, in pazienti già ammalati, può essere utile la riabilitazione cognitiva”, spiega il neurologo.

La seconda “sana abitudine” riguarda l’alimentazione. Quanto conta la dieta e cosa non dovrebbe mai mancare per ridurre i rischi di demenza?

“Su questo sono stati condotti molti studi, che hanno mostrato come la dieta Mediterranea rappresenti un fattore preventivo. È importante, quindi, privilegiare frutta, verdura, cereali integrali e pesce, riducendo invece le quote di prodotti di derivazione animale, in particolare le carni rosse. Andrebbero limitati anche formaggi e dolci”, spiega Scarpini.

Anche il peso corporeo corretto ha la sua importanza. Perché sovrappeso e obesità possono influire negativamente nell’insorgenza delle demenze?

“La spiegazione non è diretta, nel senso che il peso, e in particolare sovrappeso e obesità, sono spesso associati a una scarsa attività fisica, i cui benefici sono stati ricordati prima. Nello stesso tempo, a incidere su problematiche legate al peso è un’alimentazione scorretta, il che ci riporta al punto precedente”, chiarisce il professore.

Una cattiva abitudine, poi, riguarda il fumo che andrebbe evitato. Perché?

“Questo è il principale fattore di rischio per le patologie cerebrovascolari ischemiche, quindi contribuisce anche sulla cosiddetta “aterosclerosi”  del cervello. Oggi a questa definizione si preferisce sostituire quella di encefalopatia vascolare ischemica, ma nella sostanza non cambia: il fumo rappresenta un fattore di rischio elevato”.

Passando ai valori da tenere sotto controllo, ci sono infine il colesterolo e la glicemia. Che ruolo hanno nella prevenzione della demenza?

“Come viene spiegato nello studio, il colesterolo va tenuto a bassi livelli. Il motivo è legato al fatto che incide sulle probabilità di andare incontro a una sofferenza vascolare, che spesso si associa alla patologia neurodegenerativa del tipo di Alzheimer. Lo stesso vale per il glucosio, per le sue implicazioni a livello vascolare. Naturalmente per il controllo di questi fattori gioca un ruolo fondamentale l’alimentazione”, conferma Scarpini.

Anche la pressione sanguigna potrebbe giocare una parte importante, ai fini della prevenzione. In che modo?

“Si conferma, anche in questo caso, la centralità dell’aspetto circolatorio. Una pressione alta facilita la vasculopatia cerebrale ischemica, dunque rappresenta un ulteriore importante fattore di rischio”.

C’è un ultimo consiglio che si sentirebbe di dare, ai fini della prevenzione?

“Sì e fa riferimento a un elemento che è emerso di recente: la qualità e quantità di sonno, che devono essere adeguate. Si è visto, infatti, che durante il sonno il sistema glinfatico dell’encefalo è in grado di rimuovere proteine solubili e metaboliti dannosi per il cervello, come la proteina amiloide che è coinvolta nella neuro-degenerazione della malattia di Alzheimer, che è appunto una forma degenerativa di demenza – spiega l’esperto – La quantità minima di sonno perché possa essere considerato adeguato è a mio avviso di 7/8 ore, da raggiungere tramite uno stile di vita adeguato, quindi possibilmente senza ricorso ai sonniferi. Il modo migliore è certamente stancarsi durante il giorno, in particolare con una corretta attività fisica”.

demenza Fonte foto: 123RF
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