Morto suicida in carcere Rosario Curcio tra i killer di Lea Garofalo: era in cella a Milano, aperta inchiesta
Il 46enne si è impiccato nella cella dove era detenuto: inutile la corsa all'ospedale dove è stato registrato il decesso
Rosario Curcio, uno dei killer della testimone di giustizia Lea Garofalo, si è suicidato in carcere. La notizia è stata confermata dai vertici dell’amministrazione penitenziaria e ora sarà aperta un’inchiesta per chiarire l’esatta dinamica del suicidio.
- La corsa in ospedale e il decesso
- La condanna all'ergastolo in via definitiva
- Il ruolo di Curcio nell'omicidio di Lea Garofalo
La corsa in ospedale e il decesso
Il 46enne, originario di Petilia Policastro, condannato all’ergastolo, si è impiccato nel carcere di Opera (Milano) nella tarda serata di mercoledì 28 giugno. È deceduto dopo ore di agonia all’ospedale San Paolo di Milano.
Stando a quanto appreso dal Giorno, il detenuto è stato soccorso mercoledì già in condizioni gravissime nella sua cella dalla polizia penitenziaria. Quindi è stato trasportato al San Paolo, dove è morto il giorno successivo, giovedì 29 giugno.
Una foto che fu fornita il 18 ottobre 2010 dalla Procura della Repubblica di Campobasso
La condanna all’ergastolo in via definitiva
Finito in manette nel 2010 insieme all’ex compagno Carlo Cosco, era stato condannato in via definitiva all’ergastolo per la morte e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo nel dicembre 2014.
Sulla vicenda sono in corso accertamenti della Procura per chiarire i dettagli relativi alle circostanze dell’accaduto.
Il ruolo di Curcio nell’omicidio di Lea Garofalo
Curcio, secondo quanto svelato dagli inquirenti, la sera del 24 novembre 2009, giorno in cui fu uccisa Lea Garofalo, avrebbe preso parte alle fasi di distruzione del cadavere.
Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dall’allora pm della Dda di Milano Marcello Tatangelo, hanno infatti provato che la notte dell’omicidio Curcio era insieme a Vito Cosco, detto Sergio, e a Carmine Venturino (ex fidanzato della figlia di Lea Garofalo) nel magazzino di Monza in cui è stato tenuto e bruciato il corpo della testimone di giustizia.
Il cadavere di Lea Garofalo fu portato in un terreno del quartiere San Fruttuoso di Monza e bruciato per tre giorni fino alla totale distruzione. Per anni si è creduto che il corpo fosse stato sciolto nell’acido, ma in seguito la confessione di Venturino portò a ricostruire con precisione quanto avvenne e a rinvenire più di duemila frammenti ossei e la collana della donna.
La condanna all’ergastolo in primo grado per Curcio è stata confermata sia dalla Corte d’Assise d’Appello che dalla Cassazione nel 2014.