Non si vota solo per le elezioni Europee nel 2024: riflettori su Russia-Usa con Vladimir Putin e Donald Trump
Vladimir Putin si ricandida in Russia, Donald Trump spera di poter tornare nonostante le beghe giudiziarie, in mezzo le elezioni Europee: l'analisi di Marco Di Liddo
Secondo l’Economist il 2024 è il “biggest election year in the history”, l’anno con più appuntamenti elettorali della storia. Si è pariti il 13 gennaio con il voto a Taiwan, ma le attenzioni sono rivolte soprattutto su Russia, dove Vladimir Putin si candida per l’ennesima volta, e Usa, col possibile ritorno di Donald Trump tra le fila dei repubblicani. Nel mezzo, le elezioni Europee. L’analisi di Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali Ce.S.I., ai microfoni di Virgilio Notizie.
- Gli appuntamenti, dalla Russia agli Usa
- L'importanza del voto in Russia
- L'intervista a Marco Di Liddo
Gli appuntamenti, dalla Russia agli Usa
Il 17 marzo, Vladimir Putin punterà all’ennesima riconferma alle elezioni presidenziali della Russia, con lo spettro di possibili proteste di piazza, soprattutto per il protrarsi della guerra in Ucraina.
Nel Vecchio Continente si guarda alle elezioni Europee di giugno (in Italia si voterà il 9), mentre il 5 novembre gli americani dovranno scegliere il nuovo capo della Casa Bianca a Washington, con Donald Trump e Joe Biden per ora alle prese rispettivamente con problemi giudiziari e calo di popolarità.
Donald Trump a colloquio con Vladimir Putin a Helsinki, in Finlandia, in uno scatto del 2018
L’importanza del voto in Russia
È stato sempre l’Economist a dare particolare importanza al voto in Russia ricordando che, su 71 Paesi analizzati dal Democracy index, solo 43 avranno elezioni pienamente libere e democratiche: in Russia l’attesa non riguarda tanto il vincitore (Putin è dato per scontato), quanto le possibili contestazioni di piazza.
Lo conferma a Virgilio Notizie anche Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali Ce.S.I.:“Il voto in Russia è sostanzialmente un grande rito collettivo per il Paese che però ha ben poca rilevanza politica: il regime russo è autocratico, non sono permesse vere opposizioni, quindi è un appuntamento con cui il leader cerca una legittimazione plebiscitaria”.
E ancora: “Un elemento importante, tuttavia, potrebbe essere l’eventuale presenza di proteste popolari nelle principali città del Paese, non autorizzate, che potrebbero far capire quanta parte del popolo russo abbia il coraggio di porsi in maniera critica nei confronti della campagna militare in Ucraina e di altre problematiche, come il nepotismo e la corruzione”.
L’intervista a Marco Di Liddo
Che conseguenze potrebbero esserci proprio per le sorti della guerra in Ucraina?
“A livello internazionale l’esito è scontato e non cambierà la posizione di Mosca nello scacchiere. Come Putin ha dichiarato nel discorso di fine anno, l’obiettivo è vincere in Ucraina a tutti i costi. D’altro canto negli ultimi mesi, almeno dal punto di vista della percezione, la Russia ha recuperato terreno: oggi sembra che la presunta sconfitta di Mosca, a cui gli ucraini e parte della politica occidentale puntavano all’inizio dello scontro militare, non sembra scontata e il conflitto di lungo termine sembra uno scenario destinato ad accompagnarci ancora per tutto il 2024”.
L’altra scadenza che riguarda da vicino il Vecchio Continente sono le elezioni Europee. Ci sono risvolti sulla politica interna, negli equilibri di Governo, ma anche possibili effetti negli assetti comunitari o nelle scelte di politica europea, come la gestione dei migranti?
“Guardando i sondaggi aggiornati a dicembre 2023, i partiti e le coalizioni di destra appaiono in vantaggio. Si tratta di una destra, però, diversa da quella moderata europea del passato: è una destra più animata da partiti di ispirazione sovranista e massimalista che, rispetto ai temi della guerra in Ucraina e della gestione dei migranti, hanno posizioni un po’ più dure. In particolare, sull’Ucraina occorrerà vedere cosa accadrà negli Usa, perché l’Europa ha dimostrato ancora una volta di non sapersi emancipare da una guida americana. Sui migranti, invece, occorre fare attenzione perché è un tema utilizzato spesso in chiave elettorale: fermare i flussi con misure draconiane si è spesso rivelato di difficile attuazione, semplicemente perché siamo di fronte a un fenomeno epocale. Si tratta dello spostamento di migliaia di persone da un continente che non riesce a gestire l’esplosione democratica, verso un continente che invece soffre del problema opposto. A oggi c’è ancora un appoggio di paura, non costruttivo, che si presta a speculazioni politiche”.
Si guarda anche al voto negli Usa: la candidatura di Donald Trump alle primarie repubblicane in Colorado è stata bloccata e si attende un pronunciamento della Corte suprema. Ma anche la corsa di Biden sembra non essere gradita a tutto l’elettorato democratico. Che scenario ci si può aspettare e perché conta così tanto la scelta degli elettori statunitensi, anche al di fuori dei confini americani?
“Se vincesse Biden la posizione statunitense nei confronti dell’Ucraina resterebbe sostanzialmente immutata. Ma occorrerà vedere se al Congresso ci sarebbe un riequilibrio delle forze tale da permettere al presidente di avere un po’ più mano libera, cosa che al momento non avviene. Con un successo di Trump si potrebbe invece assistere a un cambio di politica nei confronti di Kiev: l’ex presidente Usa non ha mai mostrato verso il dossier ucraino un’attenzione cruciale, mentre ha sempre rivolto i propri interessi e quelli statunitensi a Cina e Israele. Ricordiamo che Washington è stata la prima a riconoscere ufficialmente la nuova capitale israeliana a Gerusalemme (con lo spostamento dell’ambasciata Usa, ndr), cambiando la percezione statunitense in Medio Oriente. Una vittoria di Trump potrebbe portare a una maggiore polarizzazione in quest’area”.