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Iran-Israele e gli scenari dell'ennesima guerra: cosa può succedere e quali Paesi possono evitare l'apocalisse

La via d'uscita dal conflitto Israele-Iran è la stessa per Gaza: l'analisi di Maria Luisa Fantappiè, responsabile Medio Oriente dell'Istituto affari internazionali e i possibili scenari

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Resta altissima la tensione in Medio Oriente dopo l’attacco con centinaia di droni e missili – neutralizzati quasi completamente – lanciato dall’Iran la notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile contro Israele. Tel Aviv replicherà all’attacco, ma la portata della risposta deve ancora essere determinata: è quello che emerge dal Gabinetto di guerra tenuto dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, mentre il presidente Usa Joe Biden ha fatto sapere all’alleato che Washington non sosterrà un contrattacco a Teheran. Per capirne di più, Virgilio Notizie ha intervistato Maria Luisa Fantappiè, responsabile Medio Oriente dell’Istituto affari internazionali.

L’antefatto: perché l’Iran ha lanciato droni e missili contro Israele

L’Iran ha fatto appello a Israele perché non reagisca, definendo l’attacco giustificato, una risposta “obbligata” al raid contro l’ambasciata di Damasco, in Siria, dell’1 aprile scorso.

In quell’attacco sono morti almeno 8 uomini dell’apparato iraniano, tra cui Mohammad Reza Zahedi, importante comandante delle Guardie Rivoluzionarie: “La questione può considerarsi chiusa così”, ha detto la rappresentanza iraniana all’Onu.

“Se il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura”, ha spiegato l’ambasciatore Saed Iravani. L’attacco contro Israele, ha scritto all’Onu, “rientra nell’esercizio del diritto di Teheran all’autodifesa”.

La previsione del ministro Guido Crosetto sulla risposta di Netanyahu

Nel frattempo, ai microfoni del Corriere della Sera, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è lasciato andare a una previsione sulla risposta di Israele dopo l’attacco iraniano:

“L’Iran ha attaccato Israele come rappresaglia alla bomba al suo consolato in Siria che ha ucciso un generale di grande spicco a Teheran, ma anche di collegamento con Hamas (…). Ritengo improbabile che Israele si fermi, viste le proporzioni dell’attacco iraniano, come non si è fermato di fronte alle nostre richieste di una tregua a Gaza, per salvaguardare le vite dei civili. Quindi mi aspetto un’ulteriore risposta. I falchi al governo considerano questa un’occasione imperdibile per colpire i reattori nucleari dell’Iran, anche perché, pur non essendo disponibili ad intervenire direttamente, gli Usa hanno appena stanziato i fondi per sostenere i loro sforzi militari ed hanno dichiarato il loro totale appoggio”.

L’intervista a Maria Luisa Fantappiè

Quanto è reale il rischio di un’ulteriore escalation? 

“C’è stato un innalzamento della tensione, provocato anche da Israele con il raid all’ambasciata iraniana a Damasco. Un attacco che ha cambiato le regole dell’interazione tra queste due potenze, che finora si sono sempre confrontate e scontrate in modo indiretto. Israele colpiva obiettivi militari pro iraniani – per esempio le milizie siriane o irachene – ma non aveva mai attaccato direttamente, e lo stesso vale per l’Iran. La mossa di Israele ha aperto uno scenario diverso e Teheran ha risposto per la prima volta con un attacco diretto dal suo territorio su Israele. La Repubblica islamica non poteva non rispondere: ne andava della sua legittimità come potenza che si vuole porre come avversario supremo di Israele. Sapeva anche, probabilmente, che l’attacco poteva essere intercettato e avrebbe provocato, com’è stato, solo danni materiali – per fortuna non dovrebbero esserci state vittime. Se l’Iran avesse voluto provocare vittime sarebbe stata tutta un’altra storia. Teheran è stata però poi anche molto attenta nel dire che l’operazione si chiudeva qui. Il segnale è chiaro: c’è stato un innalzamento della tensione, ma non è intenzione di Teheran entrare in un circolo vizioso che potrebbe anche portare a un confronto diretto”.

guerra iran israeleFonte foto: ANSA
Folla festante a Teheran dopo l’attacco dell’Iran a Israele, sabato 13 aprile

E Israele cosa farà ora? 

Dopo il 7 ottobre Tel Aviv ha innalzato l’asticella della tensione contro l’Iran. È vero anche che non è nell’interesse di Israele avere una guerra aperta con l’Iran nel momento in cui la guerra a casa non è ancora finita. E poi ci sono gli Stati Uniti, che fanno pressione su Tel Aviv perché non si vada verso una conflagrazione regionale. Penso quindi che la risposta di Israele, quella che ci si può aspettare, non andrà nella direzione di un’ulteriore innalzamento della tensione. È il messaggio che l’amministrazione di Biden ha lanciato al governo di Netanyahu e spero – lo speriamo tutti – che vi siano progressivamente anche dei segnali da parte della diplomazia statunitense e occidentale europea che vadano nella direzione di dare un messaggio chiaro: attacchi come quello all’ambasciata di Damasco non aiutano a contenere il conflitto ma a espanderlo”.

Qual è stata la strategia iraniana dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023? 

“Sin dal primo momento del conflitto l’Iran ha subito messo in chiaro, come Stato, che non voleva una conflagrazione regionale e lavorato anche a livello diplomatico nella direzione di una soluzione. È anche vero poi che una cosa sono gli statement ufficiali e un’altra la pratica. Abbiamo infatti anche visto un sostegno sempre più forte dal punto di vista militare , ma anche sicuramente ideologico, a tutti i gruppi affiliati a Teheran affinché innalzassero il livello di tensione: dagli Houthi nello Yemen alle milizie irachene pro-iraniane. La crisi del Mar Rosso è una delle spie. Come Stato l’Iran è stato fermo, ma i loro alleati all’interno della regione si sono mobilitati: un effetto a catena per cui poi Israele ha cambiato strategia. L’obiettivo ora non è semplicemente, a questo punto, sradicare Hamas, ma anche quello più ampio di creare una zona cuscinetto che possa proteggerlo da tutti i gruppi affiliati con l’Iran. Una strategia di sicurezza nazionale, quella israeliana, che sta cambiando, anche in relazione al fatto che non c’è più un cappello statunitense che pone dei limiti a questi attacchi. Sono anche queste le condizioni che hanno portato alla decisione di Tel Aviv di attaccare un target di alto rilievo come quello dell’ambasciata iraniana a Damasco”.

Cosa si aspetta ora?

È una di quelle situazioni in cui tutto può succedere. Quello che mi aspetto è che vi sia ragionevolezza, da parte soprattutto israeliana, suggerita anche dall’amministrazione di Biden e dalla diplomazia europea. E che ci sia la coscienza che continuare con un botta e risposta come si è fatto negli ultimi mesi non fa altro che aggravare quello che è già un conflitto gravissimo, espanderlo, tra l’altro facendo un favore anche agli iraniani. È una situazione abbastanza paradossale, per cui il Governo di Netanyahu e la Repubblica islamica, in realtà, hanno entrambi interesse a dimostrare che sono all’altezza del proprio avversario. Sono anche interessati a dimostrare alle proprie opinioni pubbliche all’interno della regione che sono capaci di portare avanti i loro obiettivi di sicurezza nazionale. Ci sono certo le condizioni per un innalzamento delle tensioni, però c’è anche un sistema internazionale, ci sono delle potenze globali come gli Stati Uniti che hanno comunque ancora un’influenza su Israele e che, penso, faranno di tutto perché non abbia una risposta sconsiderata all’attacco di sabato 13 aprile”.

E dal pantano di Gaza come se ne esce? 

“Non se ne esce, perché non si sono fatti i passi diplomatici giusti per uscirne. Dopo il 7 ottobre il dibattito, anche nelle nostre democrazie occidentali, è stato completamente improntato su un manicheismo che non ha aiutato. I negoziati si sono concentrati essenzialmente sul rilascio degli ostaggi, che è una causa nobile, ma che non risolve il problema fondamentale del conflitto israelo-palestinese. E, come sempre succede in Medio Oriente, il conflitto non solo non ha trovato soluzione, ma si è intrecciato con altri conflitti preesistenti e latenti. Uno di questi è appunto la guerra latente tra Iran e Israele. In realtà la risposta è la stessa a due domande: come si esce dall’escalation tra Israele e Iran e come si esce dal pantano di Gaza? Serve sicuramente un attore, probabilmente del mondo arabo, e quindi un attore come l’Arabia Saudita, che riesca e abbia le capacità diplomatiche e militari per controbilanciare questa rivalità tra Israele e Iran, ma anche di sostenere una proposta di pace sulla questione israelo-palestinese. Anche perché l’Arabia Saudita ha nelle sue mani una carta importante: quella della potenziale riapertura dei negoziati di normalizzazione con Israele. C’è una via d’uscita. Sicuramente sia questo governo israeliano sia la Repubblica islamica sono ostacoli enormi a questa soluzione. Ma esiste, ed è importante ammetterlo”.

Da più parti si dice che Netanyahu stia aspettando il ritorno di Donald Trump e una sua vittoria alle presidenziali Usa di novembre 2024…

“Nella regione, a partire dal Golfo fino a Israele, tutte le potenze mediorientali sono molto attente a quello che succede nella politica americana. Sanno benissimo che, a differenza della politica europea, ma anche cinese e russa, più o meno stabili, la presenza di un’amministrazione Repubblica negli Stati Uniti, soprattutto se capeggiata da Trump, rispetto a quella esistente cambia un po’ le carte in gioco. Non si sa cosa farebbe, ci sono degli elementi comunque costanti nella relazione tra Stati Uniti e Israele che non cambierebbero. Ma con il mandato di Trump abbiamo visto che ci sono anche degli elementi essenzialmente legati alla sua personalità e alle sue relazioni familiari e di amicizia, per esempio tra il cognato e molti dei componenti del Likud, il partito nazionalista liberale e di destra israeliano. Netanyahu potrebbe quindi avere un sostegno più incondizionato alle sue politiche. Ma mancano ancora molti mesi alle elezioni e penso che l’amministrazione Biden farà di tutto per qualche passo avanti, più di quelli fatti finora. Ne va anche della sua credibilità”.

Come si colloca in questo quadro molto complesso la questione Russia-Ucraina? 

“Il focus sull’Ucraina al momento dello scoppio del conflitto, lo abbiamo detto da più parti, è stato chiaramente adeguato. La risposta europea è stata, diciamo, adeguata. Allo stesso tempo c’è stata un’attenzione soprattutto sul fronte est dell’Europa, senza però pensare a come la Russia poteva riuscire a sostenere, o anche a beneficiare, di tutto quello che era il Soft Power delle proprie relazioni nel sud del mondo e nel vicinato meridionale dell’Europa. Tutte queste crisi non fanno altro che portare acqua al mulino di Mosca dal punto di vista della credibilità, o meglio del discredito che gettano sulla reputazione dell’Europa, ormai vista come pedina degli Stati Uniti, ma soprattutto di un Occidente che non sa gestire il multipolarismo in cui stiamo vivendo. Mentre la Russia riesce a farlo”.

iran-missili-israele-droni-guerra Fonte foto: ANSA
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