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Save The Children: "Tutelare minori è investimento per il futuro"

I giovani hanno subito molto gli effetti sociali della pandemia. Ne parliamo con Antonella Inverno di Save the Children Italia

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato il:

“Il costo sociale è altissimo e a pagarlo saranno i giovani”. Con queste parole poche settimane fa si era espresso il presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi Antonello Giannelli, al telefono con VirgilioNotizie. Il riferimento era alla riapertura delle scuole e allo scontro istituzionale tra Governo centrale e Regioni che si è generato e ancora non del tutto sanato.

Giannelli non è certo l’unico a pensare che lo “strabismo istituzionale”, come lui stesso lo ha definito, in materia di scuola e Covid mieterà sul lungo periodo molte vittime tra i più giovani. E per alcuni, le vittime in realtà ci sono già.

Save The Children è tra le ong più operative sul fronte dei temi dei diritti dell’infanzia, in Italia così come nel resto del mondo. E sin dall’inizio della crisi internazionale segue con preoccupazione, intervenendo con alcuni progetti mirati, gli sviluppi della pandemia e gli effetti che questa sta già provocando nei ragazzi e nei bambini. Abbiamo approfondito con Antonella Inverno, responsabile politiche dell’infanzia di Save The Children Italia.

Nell’arco di un anno, quanto e come ha inciso la pandemia sui giovani?
Le nostre considerazioni arrivano da due tipi di esperienze diverse: la prima riguarda il lavoro che svolgiamo quotidianamente sul campo, da cui sono iniziati ad arrivare i primi campanelli di allarme. Poi ci sono le indagini che svolgiamo periodicamente dalle quali è emersa una fotografia allarmante. Oggi sappiamo per certo che l’anno della pandemia ha avuto un impatto molto forte sulle nuove generazioni.

Eppure sembra che se ne parli sempre poco…
Perché si tende a pensare che l’impatto economico e sociale di un’emergenza come questa riguardi sempre altri, senza pensare che i problemi delle famiglie e della società si riflettono automaticamente sui bambini e sui ragazzi.

Va anche detto che il tema della scuola è stato tra i più divisivi anche nelle sedi istituzionali e in Consiglio dei ministri. Quali sono i dati più allarmanti emersi alla fine di un anno di ridottissima presenza a scuola?
Anzitutto quelli che riguardano la perdita di apprendimento. Ci sono anche alcuni studi pionieristici che stanno cercando di rilevare in termini assoluti le conseguenze dirette, nel lungo periodo, sulla caduta del Pil. Ma poi c’è il tema dell’impatto emotivo sugli alunni, soprattutto su coloro che a scuola non torneranno più. Parlo della dimensione della socialità.

Dobbiamo sempre pensare che gli anni di scuola solo quelli in cui si formano le persone, in cui ciascuno costruisce la propria identità. I ragazzi sono stati molto responsabili nel corso dell’anno, ma noi abbiamo il dovere di fare i conti con la realtà. Abbiamo svolto delle indagini ed è emerso che il 23% degli adolescenti intervistati ha affermato che ritiene che il contatto fisico e la presenza delle persone non sia poi così importante grazie agli strumenti digitali.

È un primo dato che ci fa capire che potrebbero aprirsi degli scenari distopici: faremo i conti con una generazione diversa. Ma ciò che ci preoccupa di più è l’allarme dispersione scolastica: il 28% ci ha riferito di non aver visto a lezione almeno uno dei compagni di classe, di questi il 7% ha parlato di diversi compagni di classe. Temo che quando le scuole rientreranno a pieno regime avremo delle brutte sorprese, molti alunni non torneranno.

Perché i ragazzi abbandonano la scuola?
Parliamo di giovani che partono già da una condizione di svantaggio sociale. Stare a scuola, soprattutto per loro, vuol dire sperimentare delle relazioni diverse e avere un contatto concreto con altri tipi di realtà. La scuola è un ascensore sociale ma preoccupa il fatto che circa il 10% dei nostri intervistati ha dichiarato di aver cambiato progetti per il proprio futuro a causa delle difficoltà economiche in cui si trova oggi la famiglia. Una volta che si è perso quasi un anno scolastico è difficile che tornino.

Quali sono state le maggiori difficoltà a cui sono andati incontro e che hanno denunciato a proposito della dad?
Anzitutto il digital divide: l’Istat dichiara che molti ragazzi sono costretti a dividere i dispositivi digitali con i fratelli, che nessuno li segue e li sostiene durante i compiti a casa, che a casa non hanno una situazione ottimale e degli spazi che favoriscano la concentrazione durante gli studi. Una ragazza ci ha detto: se non capisco qualcosa durante le lezioni sono sola, nessuno mi aiuta a capire meglio. Poi c’è la questione della connettività. Il sentimento di apatia è un altro grande campanello di allarme. Tra dad e compiti, i ragazzi passano più di 10 ore davanti allo schermo. E questo rappresenta anche un potenziale stress emotivo.

Poi c’è il tema delle attività extra scolastiche: già prima della pandemia, tanti ragazzi non frequentavano attività extra scolastiche che contribuiscono a migliorare molto il rendimento scolastico. Sono attività che sono state sospese nel corso del 2020 generando un ulteriore vuoto nella vita dei giovani. La situazione sarebbe catastrofica, meno che almeno possiamo contare sul sostegno di moltissime associazioni sparse in tutto il territorio nazionale.

E immaginiamo che a livello internazionale, nei paesi più poveri dove Save The Children opera, la situazione sia anche peggiore…
Le Nazioni Unite stimano che ci sono milioni di bambini e bambine che non hanno accesso all’educazione. Nei paesi dove c’è un sistema di protezione meno sviluppato di quello italiano i rischi diventano ovviamente anche più acuti. Si va dallo sfruttamento del lavoro ai matrimoni forzati, la malnutrizione aumenta in maniera esponenziale. La pandemia mette a dura prova i bambini del mondo in generale perché sono coloro che hanno meno strumenti per difendersi e maggior bisogno di un’infrastruttura pubblica e sociale che li sostenga.

Eppure sembra che non siano mai una priorità..
Ricordiamo sempre che i bambini non votano, forse per questo non sono una priorità. Ma è un ragionamento un po’ miope, perché lavorare sui giovani vuol dire fare un investimento a lungo termine. Occuparsi di infanzia vuol dire lavorare sulla vera giustizia sociale. E la giustizia sociale, sul lungo periodo, garantisce anche maggiore produttività e ricchezza.

Proviamo ad immaginare delle soluzioni politico-istituzionali: quali sono le vostre proposte?
In questo momento l’Italia ha la grande opportunità di fare investimenti che possano realmente cambiare pelle al Paese e rimediare ai deficit sociali oramai storici, e mi riferisco in particolare alle regioni del Mezzogiorno o alla questione femminile, che incidono direttamente anche sulla vita dei minori.

Occorre investire una percentuale dei fondi del Next Generation Youth in un potenziamento del sistema scolastico, a partire dalla prima infanzia. Il nostro Paese ha una percentuale molto bassa di presa in carico dei bambini negli asili ad esempio, ma anche la possibilità di frequentare un asilo ha effetti sulla povertà educativa.

Proseguire poi con la scuola pubblica per aumentare il tempo pieno: al momento meno della metà degli studenti possono frequentare. Questo vuol dire levare i giovani dalla strada. Potenziare il sistema scolastico vuol dire modificare anche i modelli pedagogici.

Credo che questa crisi deve in qualche modo rappresentare un’opportunità per cambiare le cose. La scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale. Speriamo ci sia visione strategica e più di lungo termine.

Che fine farà il coronavirus? Lo scenario più realistico Fonte foto: ANSA
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