Covid, picco delle terapie intensive: il racconto del primario
La testimonianza del primario di anestesia del Niguarda Roberto Fumagalli sulla situazione nelle terapia intensive
Il numero dei ricoverati in terapia intensiva per Covid-19 si avvicina sempre di più al livello di allerta massima dei 4mila posti letti occupati. La quota 3.679, raggiunta nelle ultime 24 ore non è lontana da quella registrata il 29 marzo 2020 di 3.800 pazienti in rianimazione, quando tutta l’Italia era alle prese con lo scoppio dell’epidemia.
La soglia limite del 30% di posti letti occupati nel reparto di terapia intensiva per casi di Covid-19, fissata dal ministero della Salute, è stata superata in dodici regioni e una provincia autonoma (Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Trento).
Secondo la previsione del matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo ‘Mauro Picone’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iac), il picco dei reparti per i malati gravi è previsto per la prossima settimana.
Uno spaccato da vicino della situazione lo dà, in un’intervista a Repubblica il direttore del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale Niguarda e professore all’università Bicocca di Milano, Roberto Fumagalli , in tutto quest’anno di epidemia sempre in trincea nella battaglia contro il Covid-19.
“Siamo in decisa sofferenza – racconta il primario. Il carico che abbiamo oggi dipende dagli accessi ai pronto soccorso di 7-14 giorni fa. Nella nostra regione ci sono quasi 900 posti letto occupati da pazienti Covid nelle terapie intensive, potremmo arrivare a quota mille nelle prossime settimane”.
Il professore Fumagalli fa allora un paragone con la situazione in rianimazione di un anno fa: “Allora eravamo arrivati a oltre 1.300, ora i numeri sono inferiori. Se si sommano la seconda e la terza ondata i numeri sono comunque alti spalmati però su un periodo di tempo maggiore. E c’è poi un altro problema tecnico da tener presente. I pazienti che finiscono in terapia intensiva ci rimangono per molto tempo e quindi i posti letto non si liberano in fretta. Quando abbiamo affrontato la terza ondata ne avevamo 360 occupati. Per questo non possiamo permetterci una nuova risalita a breve”.
Il primario insiste perché si resista ancora un po’ con le chiusure e le misure di prevenzione per allentare la pressione sugli ospedali, in particolare nei reparti come il suo, dove la mortalità rimane elevata: “È purtroppo molto alta. Il 36-38 per cento di chi entra non sopravvive. L’anno scorso moriva il 42 per cento”.