Covid, comunicazione dati rivoluzionata? Discussione governo-Cts, perché gli esperti sono divisi
Il Cts e il governo starebbero pensando a un cambio di rotta circa la pubblicazione quotidiana del bollettino Covid
Matteo Bassetti, nelle scorse ore, con tono polemico ha lanciato la proposta di smettere di divulgare il bollettino Covid quotidiano nella modalità in cui viene annunciato da ormai quasi due anni, cioè dall’inizio della pandemia. La proposto dell’infettivologo non è caduta nel dimenticatoio tanto che della questione se ne sta discutendo all’interno del Comitato tecnico scientifico (Cts).
Bassetti, in maniera perentoria, sostiene che la conta dei positivi giorno per giorno comunicata nel consueto e quotidiano bollettino “spaventa e ormai ha poco significato”. La sua proposta è quella di passare a un sistema di raccolta e diffusione settimanale dei dati, sulla falsariga del rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss).
Bollettino Covid, Cts: la discussione sarà portata sul tavolo del governo
L’epidemiologo Donato Greco – che è uno dei membri del Cts -, come riferisce il Corriere della Sera, si è espresso in questi termini circa l’eventualità di archiviare il bollettino giornaliero: “Sarebbe un’ottima idea far diventare settimanale il bollettino, noi del Cts stiamo discutendo di parlarne con il Governo“.
L’opinione di Bassetti è la medesima che ha il sottosegretario alla Salute Andrea Costa: “Il report quotidiano dei contagi è inutile perché di per sé non dice nulla. Ho proposto al ministro Speranza di fare una riflessione. In questa fase dell’epidemia è bene soffermarsi su ricoveri e occupazione dei letti”.
Bassetti, ai microfoni di Radio Cusano, ha usato toni assai decisi nello spiegare il perché, secondo la sua visione, va rivista la comunicazione sui dati relativi al coronavirus. Tra i positivi ci finiscono “anche quelli ricoverati per un braccio rotto e che poi risultano avere il virus – ha dichiarato il virologo -. Il bollettino non serve a nulla, è ansiogeno”.
Un’immagine dell’infettivologo Matteo Bassetti
E ancora: “Che senso ha dire che abbiamo 250mila persone con test positivo? Bisogna specificare se sono asintomatici, oppure no. Se vengono seguiti a casa oppure sono ricoverati e dove. Stiamo sfigurando col resto del mondo. A leggere i numeri sembra che in Italia vada tutto male”.
Pierpaolo Sileri ha frenato sull’argomento: “Nell’immediato e in attesa di raccogliere evidenze sull’opportunità di passare ad un diverso meccanismo, ritengo utile la comunicazione puntuale e trasparente di tutti i dati, accompagnata da un’adeguata interpretazione che aiuti i cittadini a orientarsi meglio”.
Quel che sembra sicuro è che l’argomento sarà uno dei temi che il Cts esporrà all’esecutivo targato Mario Draghi.
Covid, ricoveri: il 34% dei positivi in ospedale per cause differenti rispetto all’infezione
Una ricerca effettuata dalla Fiaso (la federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere) – il report è stato pubblicato nelle scorse ore – ha rilevato che il 34% dei positivi fanno il loro ingresso in ospedale per cause diverse dall’infezione Covid. Solo in un secondo momento, dopo aver effettuato il tampone, si scopre che sono contagiati.
Bollettino coronavirus, come leggere i contagi giornalieri? Esperti divisi
Antony Fauci, intervistato di recente dall’ABC, ha detto che con molte infezioni che causano pochi o nessun sintomo “è molto più rilevante concentrarsi sui ricoveri rispetto al numero totale dei casi”. Anche il dottor Wafaa El-Sadr, direttore dell’ICAP, un centro sanitario globale presso la Columbia University, ha dichiarato che “il conteggio dei casi non sembra essere il numero più importante da tenere in considerazione in questo momento”.
“Sarebbe più opportuno concentrarsi sulla prevenzione di malattia, disabilità e morte causate dal Covid in un contesto post vaccinazione, e quindi contare quelli”, ha aggiunto El-Sadr.
Fabrizio Pregliasco la pensa in maniera differente: “Se puntiamo tutto su ricoveri e decessi rischiamo di rimanere indietro rispetto all’andamento dell’epidemia perché tra quando una persona si contagia e quando sviluppa sintomi passano fra i 3 e i 5 giorni; tra l’insorgere dei sintomi e il risultato dei tamponi ne passano altri 2-3”.
“Quindi – ha sottolineato Pregliasco – quel contagio ci sta dicendo come si stava muovendo l’epidemia una settimana prima. Con il dato dei ricoveri vediamo invece come si stava evolvendo l’epidemia 10-15 giorni prima. Se rinunciamo a conoscere il numero di contagi rinunciamo anche a capire cosa succederà a distanza di giorni rischiando di arrivare impreparati di fronte a uno tsunami di ricoveri”.
“È logico che non possiamo smettere di contare il numero di persone positive, questo è uno strumento epidemiologico irrinunciabile per gli addetti ai lavori”. Così l’epidemiologo Paolo Bonanni, professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze che ha aggiunto: “Il dato assoluto dei contagi oggi è fuorviante e non c’è corrispondenza tra il numero assoluto di infezioni e quello che succederà in termini di ospedalizzazioni e morti”.
“La comunicazione al pubblico deve cambiare” ha evidenziato Antonella Viola. “Quello che conta è la situazione negli ospedali , i ricoverati sono per la maggior parte non vaccinati o pazienti in attesa del richiamo. Il dato assoluto dei contagi, se pubblicato senza adeguato contesto, rischia soltanto di spaventare e scoraggiare”, ha concluso la scienziata.