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Covid, la testimonianza del primario: "Tragedia continua"

Il professore Stefano Nava fa il punto sulla situazione nei reparti di terapia intensiva

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

I centomila morti dopo un anno di epidemia da Covid-19 ci avrebbero portato a una sorta di assuefazione e di rimozione della tragedia che continua a imperversare in Italia. Lo sostiene in un’intervista al Corriere, Stefano Nava, primario di pneumologia e sub-terapia intensiva del Sant’Orsola di Bologna, tra gli ospedali più impegnati da questa nuova fase dell’epidemia: “Ho tutti e 34 i posti letto occupati da pazienti Covid. E intanto ho dovuto “rubare” un piano ad altri colleghi. Esattamente come l’anno scorso” è la testimonianza del professore.

Originario di Crema, Nava ha cominciato la sua carriera a Pavia e, dopo le esperienze a Boston e Montreal, da dieci anni dirige uno dei reparti più colpiti della terza ondata, in una tra le regioni con i numeri più alti di nuovi contagi come l’Emilia Romagna.

Di fronte a questo nuovo scenario, il primario fa il punto, a circa un anno di distanza dall’inizio della pandemia: “Ne sappiamo ancora poco, di questa malattia. E non abbiamo ancora trovato una buona cura. Questo ha confuso la popolazione, anche perché intanto siamo stati sommersi dalle dichiarazioni di miei colleghi che si presentavano in televisione con la verità in tasca“.

Parlare senza controllo, fino al punto di superare la linea del pubblico servizio per entrare nel campo del narcisismo, generando false aspettative o ulteriori paure, è stato deleterio” aggiunge.

Nell’intervista il professore Nava porta la sua testimonianza dell’emergenza sanitaria sia dal punto di vista del medico sia del malato e commenta così l’altissimo numero di decessi raggiunto in questi giorni: “A metà marzo chiamai una mia amica psichiatra a Pavia, perché mi sentivo addosso un senso incombente di morte. Mi sembrava di essere travolto da questo male. Provavo angoscia. Non mi era mai capitato di provare sensazioni così disperanti.”

“Il 21 marzo mi ammalai. Lavorando in corsia, oppure in riunione. L’assedio era cominciato anche qui a Bologna, e non uscivo più dall’ospedale” racconta Nava, ammettendo di essere stato segnato dall’esperienza e di avere avuto molta paura perché, spiega “con il Covid, non esiste la diagnosi certa. In ogni momento si può virare verso il meglio o il peggio. Avere la febbre alta per 13 giorni di fila non è certo rassicurante. Non lo è stato per me, non lo è per qualsiasi altro malato.”

Nava ricorda l’inizio della seconda ondata come spartiacque dell’epidemia, perché momento di illusione maggiore di aver superato il peggio: “Altro che canti dal balcone e medici eroi. Oggi sembra che questi morti siano un problema che riguarda solo gli altri. Anche per via di un racconto distorto della realtà. Io capisco i problemi economici, capisco la frustrazione. Ma tra salute e profitto, una società sana sceglie sempre la prima opzione”.

E infine descrive la situazione attuale nel suo reparto: “Oggi il malato ti scappa in un tempo molto più veloce. Un giorno ha parametri da dimissione, quello seguente viene intubato. Nella primavera del 2020 c’erano focolai più grandi. La bocciofila di Medicina, il corriere della Bertolini. Adesso invece abbiamo tantissimi cluster familiari. E a causa delle varianti, una età media più bassa di 10-12 anni”.

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