Bologna: boss di 'ndrangheta scarcerato di nuovo, ricorso dei pm
Domenico Paviglianiti libero per la seconda volta per fine pena
Per la seconda volta in due mesi il boss della ‘ndrangheta Domenico Paviglianiti viene scarcerato a Bologna per fine pena. La procura bolognese ha però già fatto ricorso in Cassazione. Lo riferisce l’Ansa. Paviglianiti, 58 anni, pluriomicida, era considerato uno dei esponenti di spicco dei clan che da Reggio Calabria avevano esteso i loro affari in Lombardia e nel Nord-Ovest.
Catturato in Spagna nel 1996, ha accumulato con le sentenze di condanna 168 anni di carcere. Da tempo è al centro di una complessa questione procedurale per decidere quanto debba scontare in carcere.
La condanna all’ergastolo è stata infatti commutata in 30 anni da un Gip di Bologna, Gianluca Petragnani Gelosi, a cui la Cassazione aveva affidato la competenza perché proprio a Bologna era stata pronunciata l’ultima sentenza passata in giudicato.
I difensori del boss, gli avvocati Mirna Raschi e Marina Silvia Mori, avevano rilevato come a febbraio 2019, dopo 23 anni, tra indulto e liberazione anticipata, era già scontata tutta la pena.
Ad inizio agosto Paviglianiti è stato liberato una prima volta dal carcere di Novara per fine pena, ma in meno di 48 ore è stato arrestato di nuovo su ordine della procura di Bologna per un errore nel conteggio della pena.
I pm avevano acquisito nuova documentazione e ritenendo che una delle sentenze, una condanna a 17 anni per associazione mafiosa, si riferisse a fatti avvenuti dopo l’estradizione dalla Spagna, aveva fissato il fine pena nel 2027, ordinando subito il nuovo arresto di Paviglianiti.
La difesa ha fatto quindi un nuovo ricorso e un altro Gip, Domenico Truppa, lo ha accolto, considerando la sentenza del 2005 già valutata nei conteggi precedenti. Ma secondo la Procura di Bologna questa valutazione è errata.
Nel ricorso in Cassazione firmato dal procuratore aggiunto Lucia Russo e dal pm Michele Martorelli si sottolinea come si sia appreso e documentato “inequivocabilmente” che una delle condanne citate dall’Autorità giudiziaria di Reggio Calabria nel provvedimento di cumulo del 2012 riguardasse “fatti consumati in epoca successiva all’avvenuta estradizione e addirittura mentre il detenuto si trovava in carcere”.
Si rende dunque necessario rideterminare la pena residua da scontare, adottando un criterio di calcolo diverso da quello del pm reggino. Inibire questa facoltà, secondo il ricorso, “costituisce scelta sorprendente” e in conflitto “con i principi e le norme in tema di esecuzione delle pene detentive”.