Peste suina in Piemonte, un caso riscontrato nella carcassa di un cinghiale: rischi e possibili conseguenze
Un caso di peste suina africana è stato riscontrato in Italia, più precisamente in Piemonte: quali sono i rischi e le possibili conseguenze
Un caso di peste suina africana è stato riscontrato in Piemonte attraverso l’analisi della carcassa di un cinghiale trovata a Ovada, in provincia di Alessandria. Gli esami sono stati effettuati dall’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, centro di referenza nazionale per le malattie da postivirus.
La documentazione, riporta l”Ansa’, è stata trasmessa al ministero della Salute che la notificherà all’Oie, l’Organizzazione mondiale della sanità animale, e alla Commissione Europea.
Peste suina in Piemonte: rischi e conseguenze
Il caso di peste suina potrebbe avere conseguenze sul commercio delle carni suine italiane: i Paesi che non riconoscono il principio di regionalizzazione potrebbero, infatti, imporre il divieto di importazione di tutti i prodotti suini dell’intero Paese in cui la Psa si è manifestata. Come ricordato da ‘La Stampa’, in ogni caso, la malattia non si trasmette all’uomo.
Peste suina africana: l’allarme di Confagricoltura Piemonte
L’allarme sul rischio della peste suina era stato lanciato nei giorni scorsi da Confagricoltura Piemonte, che aveva riferito di “un forte rischio” di diffusione legato “all’eccessiva proliferazione” dei cinghiali. Il presidente Enrico Allasia aveva avvertito sul possibile “danno enorme per i nostri allevamenti e per la sicurezza alimentare”.
Peste suina africana: l’allarme di Coldiretti Piemonte
Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti Piemonte, e Bruno Rivarossa, delegato confederale, hanno dichiarato in una nota a proposito della peste suina in Piemonte: “Siamo fortemente preoccupati, gli interventi immediati e urgenti, così come i controlli a tappeto sui cinghiali abbattuti, che da tempo chiediamo, devono ora sicuramente essere fatti e non bastano, di fronte a uno spettro così grave e rischioso, solo i controlli eseguiti a campione, alla ricerca esclusivamente della Trichinella”.
I due hanno poi aggiunto: “Bisogna anche mettere mano definitivamente alla forma di tracciamento della filiera e della commercializzazione dei cinghiali abbattuti. L’altra forte preoccupazione è per il danno d’immagine che questa situazione può creare diventando anche uno strumento di speculazione economica nei confronti del nostro territorio, rischiando di colpire ingiustamente i nostri allevatori che, invece, conducono i loro allevamenti con standard di biosicurezza molto elevati. Chiediamo, pertanto, da subito di attuare tutte le misure necessarie per monitorare la situazione e contenerla il più possibile”.
La chiosa finale di Moncalvo e Rivarossa: “Per difendere i nostri imprenditori, già fortemente colpiti dalla crisi legata alla pandemia, se dovessero generarsi strumentalizzazioni e speculazioni, non esiteremo a fare causa, a richiedere il risarcimento danni e a costituirci parte civile nei confronti di chi non ha saputo gestire correttamente la problematica del proliferare dei cinghiali e di chi ha avuto la responsabilità di farla degenerare”.