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Roberto Calderoli offese Cecile Kyenge chiamandola "orango": condannato a 7 mesi ma non andrà in galera

Si chiude il caso Kyenge-Calderoli: il leghista nel 2013 definì "orango" l'allora ministra per l'Integrazione. Oggi arriva la condanna (con pena sospesa)

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Roberto Calderoli è stato condannato a 7 mesi di prigione per avere offeso Cecile Kyenge nel 2013 definendola “orango”. Calderoli però non andrà in prigione perché la pena è stata sospesa. Disposta inoltre la non menzione del reato nel casellario giudiziario.

Calderoli Kyenge: un processo lungo 10 anni

La condanna arriva dal tribunale di Bergamo dove Calderoli era alla sbarra con l’accusa di diffamazione aggravata dalla matrice razziale. A dicembre il reato andrà in prescrizione.

All’epoca dei fatti Roberto Calderoli era un senatore semplice (mentre oggi è il ministro per gli Affari regionali e le autonomie). Cecile Kyenge era la ministra dell’Integrazione del governo Letta.

La definì "orango": Roberto Calderoli condannato per le offese a Cecile KyengeFonte foto: ANSA

Ecco la frase incriminata, pronunciata durante un comizio il 13 luglio 2013 alla festa della Lega di Treviglio, in provincia di Bergamo:

“Ogni tanto, smanettando con internet, apro il sito del governo e quando vedo venire fuori la Kyenge io resto secco. Io sono anche un amante degli animali per l’amore del cielo. Ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie e tutto il resto. Però quando vedo uscire delle sembianze di un orango, io resto ancora sconvolto”.

Il processo ha avuto un travagliato iter lungo 10 anni: dopo le offese Cecile Kyenge non aveva sporto querela.

Il processo a Calderoli per le offese alla Kyenge

Era stata la procura di Bergamo a muoversi d’ufficio. Nel 2015 un primo stop, con la difesa di Calderoli che aveva invocato l’applicazione dell’articolo 68 della Costituzione secondo il quale “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.

La Corte costituzionale aveva però dato ragione al tribunale e il processo era ripartito.

La condanna in primo grado è arrivata nel gennaio 2019: un anno e sei mesi per il riconoscimento dell’aggravante razziale.

Poi un processo d’appello con pena ridotta. Poi ancora la sentenza della Cassazione che azzerò tutto per mancato riconoscimento del legittimo impedimento di Calderoli, che nel frattempo aveva la necessità di sottoporsi a un delicato intervento chirurgico.

La sentenza della Cassazione ha fatto ripartire il processo da zero. Dopo l’ultima condanna, però, tutto si prescriverà fra cinque mesi.

Calderoli, la Kyenge e la macumba

Nell’agosto del 2014 Roberto Calderoli tornò sulla vicenda parlando dei suoi problemi di salute: “Sei volte in sala operatoria, due in rianimazione, una in terapia intensiva, è morta mia mamma e nell’ultimo incidente mi sono rotto due vertebre e due dita”.

Secondo Calderoli la colpa di tutte queste disgrazie era da imputare a una maledizione contro la sua persona: “La macumba che mi ha fatto il papà della Kyenge”.

Per questo il leghista, allora vicepresidente del Senato, mandò “un messaggio distensivo a papà Kyenge per chiedergli la revoca del rituale”.

L’ex ministra Cecile Kyenge nel frattempo è diventata medico di base a Padova.

Nella foto Cecile Kyenge e Roberto Calderoli Fonte foto: ANSA
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