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Price cap sul petrolio russo, prezzo massimo a 60 dollari: cosa può succedere ora nel mercato dell'energia

Dal 5 dicembre è attivo il price cap di 60 dollari sul petrolio importato dalla Russia: quali sono gli obiettivi dei Paesi Ue e G7

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Lunedì 5 dicembre sono entrate in vigore le nuove sanzioni sul petrolio russo messe a punto dai Paesi dell’Unione europea e del G7 (più l’Australia). Come per gli altri pacchetti di sanzioni, anche in questo caso l’obiettivo è cercare di limitare le disponibilità economiche della Russia in modo da ridurne la capacità di spese militari. Ovviamente, anche questo pacchetto di sanzioni arriva come conseguenza dall’invasione russa in Ucraina, in corso ormai dal 24 febbraio 2022.

I Paesi membri dell’Unione europea più Canada, Giappone, Stati Uniti e Australia hanno deciso che il prezzo di acquisto del petrolio prodotto in Russia, e trasportato via mare, non potrà superare i 60 dollari al barile. L’accordo consente di spedire il petrolio russo a Paesi terzi utilizzando navi cisterna del G7 e dell’Ue, solo se il carico viene acquistato a un prezzo pari o inferiore al limite massimo.

Price cap sul petrolio russo: le esenzioni

Si tratta di un provvedimento molto rilevante a livello globale, visto che la Russia è il secondo esportatore al mondo di petrolio dietro gli Stati Uniti e poco sopra l’Arabia Saudita. Ma i Paesi dell’Ue e del G7 (più l’Australia) hanno intenzione di agire in modo graduale per evitare un forte rincaro dei prezzi, come accaduto con il gas qualche mese fa. Per questo, ad esempio, non è stata accolta la richiesta di Ucraina e Polonia di inserire un price cap di 30 dollari al barile per il petrolio russo.

Inoltre, sono previste alcune esenzioni. Una riguarda la Bulgaria, che potrà ad acquistare petrolio russo via mare fino alla fine del 2024 e un’altra riguarda il Giappone per il petrolio estratto con il progetto Sakhalin-2. Inoltre, trattandosi di petrolio che arriva da un oleodotto, l’Europa potrà continuare a rifornirsi di petrolio russo tramite l’oleodotto Druzhba.

La dura replica di Mosca dopo l’introduzione del price cap

“L’accordo dell’Ue sul tetto al prezzo del petrolio, coordinato con il G7 e altri partner, ridurrà in modo significativo le entrate della Russia ci aiuterà a stabilizzare i prezzi globali dell’energia, a beneficio delle economie emergenti di tutto il mondo, e sarà regolabile nel tempo così da poter reagire agli sviluppi di mercato”, ha commentato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. La replica della Russia, dopo l’accordo raggiunto per il price cap, non si è fatta attendere.

Alexander Novak, vice primo ministro, ha fatto sapere che Mosca non permetterà alle compagnie nazionali di vendere il petrolio russo sotto qualsiasi tetto di prezzo e che, piuttosto, la Russia preferisce diminuire la produzione. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha aggiunto che la risposta di Mosca “è in fase di preparazione”.

Caro energia, cosa può cambiare con il price cap sul petrolio russoFonte foto: ANSA
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea

Tuttavia, non è ancora chiaro quali saranno le ripercussioni per le aziende russe che venderanno il petrolio ai Paesi che hanno adottato il price cap. “Passi come questo inevitabilmente si ripercuoteranno in una maggiore incertezza e in costi più alti, per i consumatori, per le materie prime. E d’ora in poi, nessun Paese sarà immune all’introduzione di price cap di ogni tipo sulle sue esportazioni”, ha scritto il Cremlino nella nota diffusa in risposta alle mosse di Ue e G7 sul petrolio.

Perché il petrolio russo costa meno

Al momento il petrolio esportato dalla Russia (chiamato Urals) viene venduto a circa 50 dollari al barile, quindi ben al di sotto dei 60 dollari del price cap occidentale. Essendo di qualità inferiore rispetto a Wti (greggio Usa, scambiato attualmente a 76 dollari al barile) e Brent (greggio estratto nel Mare del Nord, attualmente a 81 dollari al barile) il petrolio russo costa meno e, al momento, il primo acquirente è la Turchia.

Il tetto al prezzo del greggio russo, dunque, avrebbe efficacia solamente nel caso in cui il prezzo del petrolio a livello globale dovesse scattare al rialzo. Ma le dinamiche del mercato globale, come abbiamo visto nel caso del gas, possono causare conseguenze inattese. A differenza del gas, va detto, i Paesi occidentali possono sostituire più facilmente le forniture di petrolio russo.

Cosa può succedere dopo il price cap al petrolio russo

Tuttavia, senza il petrolio russo potrebbe comunque verificarsi una scarsità di materia prima sul mercato globale. E la conseguenza, che l’Unione europea soprattutto vuole evitare (gli Usa producono più petrolio di quanto ne consumano), è che gli altri produttori possano aumentare i prezzi. Senza il petrolio russo Cina e India, che consumano tantissimo petrolio, andrebbero a comprare da paesi come l’Arabia Saudita facendo concorrenza agli europei e provocando un aumento dei prezzi.

Detto in altre parole, come scrive sul Corriere della Sera Federico Rampini, bisogna raggiungere un “difficile equilibrio” in grado di penalizzare Putin sul piano economico, ma “non al punto da far cessare del tutto le forniture russe verso altre parti del mondo”. Altrimenti si rischia di ripetere gli errori compiuti con il gas, con la Russia che ha venduto meno ma ha incassato di più a causa dell’aumento dei prezzi.

L’Opec non modifica la produzione

Nell’ultima riunione tenuta dall’Opec+ (l’organizzazione dei Paesi produttori di petrolio allargata alla Russia) domenica 4 dicembre è stato deciso di mantenere la riduzione della produzione di due milioni di barili al giorno. Quindi nessun aumento delle estrazioni per fronteggiare le conseguenze del tetto al prezzo del petrolio russo da parte dell’Opec, che come da calendario tornerà a riunirsi solamente il 4 giugno 2023, in occasione del monitoraggio già in programma.

Accordo sul price cap per il gas ancora lontano

L’effetto delle nuove sanzioni alla Russia, insomma, sono tutte da vedere. Attualmente l’Unione europea ha ridotto le importazioni dalla Russia al di sotto del 30%. Mosca vende il proprio greggio principalmente a Cina, India e Turchia. La prossima tappa delle sanzioni approvate a giugno è quella del 5 febbraio, quando entrerà in vigore anche del divieto all’importazione di prodotti petroliferi raffinati russi.

Nel frattempo, all’interno dell’Unione europea, prosegue il confronto sull’introduzione del tetto al prezzo del gas. Il dibattito è sostanzialmente in alto mare, visto che le posizioni tra i diversi Paesi sono ancora molto distanti. Dalla proposta di un tetto a 275 euro la presidenza ceca dell’Ue sembra essere pronta ad abbassare a 264 euro, idea prontamente bocciata da Italia e Spagna. Attualmente, infatti, il prezzo del gas sul Ttf di Amsterdam si muove intorno ai 138 euro (dopo aver toccato anche i 100 euro qualche settimana fa) ben al di sotto del tetto pensato dall’Unione europea.

price-cap-petrolio-russo Fonte foto: ANSA
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