Casi coronavirus, Gimbe: "Le regioni non forniscono tutti i dati"
La fondazione Gimbe ha richiesto che le regioni trasmettano tutti i dati richiesti per il monitoraggio dell'andamento della pandemia di coronavirus
La Fondazione Gimbe, che analizza in maniera indipendente l’andamento dei contagi da coronavirus in Italia, ha diffuso i nuovi dati relativi all’ultimo monitoraggio settimanale della pandemia di Covid-19. Secondo Gimbe, come riporta il ‘Corriere della Sera’, sono “2.294 i nuovi casi, rispetto ai 1.927 della settimana precedente, in 11 Regioni di cui l’83% in Lombardia, dove si registra un modesto potenziamento dell’attività di testing”.
Nella settimana 11-17 giugno, ha dichiarato il presidente Nino Cartabellotta, “si conferma la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore rallentamento sul fronte dei decessi“.
Dall’analisi di Gimbe, che nei giorni scorsi aveva già lanciato l’allarme sul numero dei tamponi fatti, è emerso che, nell’ultima settimana, “i tamponi per diagnosticare nuovi casi sono aumentati solo in Emilia Romagna (+7.819), Lombardia (+1.821), Lazio (+1.389), Campania (+1.087), Prov. Aut. di Trento (+834) e Valle D’Aosta (+76)”.
Nelle rimanenti Regioni sono invece diminuiti, auspicabilmente per la situazione epidemiologica e per l’utilizzo sempre più esteso di test sierologici di screening.
Cartabellotta ha poi sottolineato: “Abbiamo verificato che dei 21 indicatori che le Regioni dovrebbero trasmettere secondo quanto previsto dal ministero della Salute, nessuno dei 12 indicatori di processo, 6 relativi alla capacità di monitoraggio e 6 a quella di accertamento diagnostico, indagine e di gestione dei contatti, è pubblicamente disponibile per cittadini e ricercatori. Dei 9 indicatori di esito solo 3 vengono pubblicati”.
Il presidente di Gimbe ha concluso: “Considerato che le fonti ufficiali riportano solo 3 dei 21 indicatori previsti dal sistema di monitoraggio nazionale, è indispensabile che le Regioni trasmettano tutti i dati richiesti e che il Ministero della Salute li renda pubblici, sia in formato open per i ricercatori, sia in un formato di facile comprensione per i cittadini”.