Zingaretti si dimette, cosa succede ora nel Pd: gli scenari
Cosa succederà ora nel Partito Democratico dopo le dimissioni annunciate dal segretario Nicola Zingaretti
Nicola Zingaretti ha annunciato con un post sul suo profilo Facebook l’intenzione di dimettersi da segretario del Partito Democratico. Una decisione che ha spiazzato tutti, a partire da chi gli è più vicino nel partito, come Dario Franceschini e il vice segretario Andrea Orlando. Una decisione sofferta, ma che costringerà la principale forza della sinistra italiana a dover scegliere cosa fare.
Il presidente del Lazio, da due anni alla guida dei Dem, ha motivato la decisione con la decisione di voler superare la guerriglia interna al partito che va avanti da tempo e che è riesplosa dopo la fine del secondo governo Conte.
“Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid“, ha scritto Zingaretti su Fb.
Dimissioni di Zingaretti, i motivi
Secondo quanto riporta Repubblica, la decisione delle dimissioni è stata maturata dopo l’ultima direzione del Pd, durante la quale il segretario ha proposto l’avvio di un congresso rifondativo del partito.
Un momento di incontro, di discussione sui temi, l’identità del partito, le proposte per rilanciare il Pd dopo la batosta delle ultime elezioni politiche. Un congresso pensato per chiarire cosa è il Pd, cosa vuole fare e come rilanciarsi per contrastare l’avanzata della destra sovranista.
“Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione”, ha spiegato Zingaretti.
La risposta che è arrivata dalle varie correnti del Pd è stata un no, tra chi ha proposto una tregua per posticipare il tutto a dopo l’emergenza covid a chi ha proposto le primarie per scegliere la nuova leadership. Di fatto più una resa di conti interna che la manifestazione della volontà di aprire una discussione su una nuova fase.
Dimissioni di Zingaretti, gli scenari
Innanzitutto si dovrà capire se quello di Zingaretti è veramente un passo indietro oppure una mossa pensata per stanare alleati e nemici interni per poi rilanciare e ripresentarsi per la leadership.
La risposta potrebbe arrivare già la prossima settimana, con l’assemblea nazionale del Pd prevista per il 13 e 14 marzo. Lì si capirà cosa vogliono fare l’area maggioritaria del partito e le varie minoranze. A partire da quella più numerosa e agguerrita, gli ex renziani di Base riformista guidati da Lorenzo Guerini e Luca Lotti.
C’è poi la corrente, che non si definisce ancora tale, degli amministratori locali, in cui spiccano i nomi del sindaco di Bergamo Giorgio Gori e del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, indicato da molti come principale avversario di Zingaretti per la guida del partito.
La partita della leadership del Pd si giocherà molto sul tema delle alleanze. Continuare sulla linea inaugurata con la costituzione della maggioranza giallorossa, proseguendo la costruzione di un nuovo centrosinistra al fianco di un rinnovato Movimento 5 Stelle guidato dall’ex premier Giuseppe Conte?
Oppure cambiare approccio, rompendo con i grillini e guardando piuttosto ai centristi e alla grande area del non voto?
Una decisione strategica che sarà decisiva per un partito che è uscito con le ossa rotte dalla parabola renziana, dal 40% alle Europee 2014 al peggior risultato di sempre, il 18% ottenuto alle ultime elezioni politiche.
SONDAGGIO – Zingaretti ha fatto bene ad annunciare le dimissioni?