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Coronavirus, chi sono i nuovi contagiati in Italia: l'identikit

Cambia l'identikit delle nuove persone contagiate dal coronavirus in Italia: si abbassa l'età media e sono meno gravi

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Mentre l’analisi sull’andamento della pandemia di coronavirus in Italia restituisce numeri più confortanti rispetto alle scorse settimane, anche se l’ultimo bollettino ha dato in risalita contagi e vittime, ci si interroga anche sull’identikit dei nuovi contagiati dal Covid-19 in Italia. Il monitoraggio completo è effettuato di settimana in settimana all’Istituto Superiore di Sanità (Iss). A tal proposito Patrizio Pezzotti, esperto di Modelli matematici e Biostatistica ed epidemiologo che coordina i report, ha osservato una diminuzione dell’età media.

Queste le sue parole riportate dal ‘Corriere della Sera’: “Sono persone più giovani di quelle che vedevamo prima: 55 anni rispetto a 60 anni di media”.

L’Ats di Milano, diretta da Vittorio Demicheli, fa una distinzione precisa sui nuovi casi di coronavirus: “Nella settimana all’inizio di giugno circa il 5% dei casi sono venuti dalle Rsa, il 3% dagli operatori sanitari, il 10% dai test sierologici positivi e l’82% sono ‘civili’, categoria generica che esclude le altre. Nessuno può dire dove si sono contagiati i nuovi infetti. In gran parte, però, dovrebbero essere contagi di origine famigliare contratti, finora, durante il lockdown”.

Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, ha detto: “Sono pazienti un po’ più giovani con caratteristiche di minore gravità. C’è ancora qualche polmonite di una certa entità in persone avanti con gli anni, ma sono infezioni vecchie”.

Alberto Zangrillo, direttore della terapia intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano, ha affermato: “Noi non ricoveriamo un paziente in terapia intensiva dal 16 aprile“. Poi ha aggiunto: “Nelle ultime due settimane abbiamo ricoverato cinque pazienti, ma sono ricoveri precauzionali, nuove diagnosi senza alcun rilievo clinico”.

Ancora Massimo Galli: “È un dato di fatto fuori di ogni dubbio che le persone che adesso ricoveriamo, innanzitutto sono poche e poi stanno meglio“. E poi: “Qui a Milano i contagi arrivano da casa: si sono ammalati prima della chiusura o, in casa loro, durante la chiusura. Le nuove diagnosi sono semplicemente persone che finalmente sono riuscite a farsi un tampone. Per molti ha richiesto parecchio tempo. Non è finita la malattia, abbiamo finito la prima ondata”.

Pezzotti dell’Iss ha chiarito: “È un quadro con meno ‘sotto diagnosi’. Per la maggiore capacità diagnostica di identificare casi lievi, la proporzione dei casi gravi è diminuita, ma non perché sia cambiata la malattia. I cluster familiari sono quelli che vediamo più facilmente perché identifichiamo e tamponiamo tutti i membri della famiglia. La Lombardia ha molti più focolai di questo tipo rispetto ad altre regioni. Poi, continuiamo a vedere casi tra gli operatori sanitari, ma non si tratta di un aumento delle infezioni, bensì di un maggiore controllo. Ci sono ancora focolai, infine, nelle case di cura”.

Sulle riaperture Pezzotti ha spiegato che “non ci sono evidenze per ora” di segnali preoccupanti. E ha aggiunto: “Siamo cauti, perché non avere segnali non vuol dire che non ci siano infezioni. Se ci fossero focolai tra i giovani, sarebbero casi asintomatici e se infettassero i loro cari lo sapremmo tra 2-3 settimane”.

Il primario della clinica di Malattie infettive San Martino di Genova, Matteo Bassetti, ha dichiarato sempre al ‘Corriere della Sera’ che lì non arrivano praticamente più casi “freschi” da dieci giorni. La sua testimonianza: “Ci sono tanti soggetti che definiamo ‘grigi‘, arrivano con sintomi respiratori e rimangono per un paio di giorni. Su una trentina di soggetti, negli ultimi 15 giorni neanche uno era Covid”.

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