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Firenze, in rianimazione col Covid a 12 anni: salvato

A 12 anni è finito in rianimazione a causa del Covid in gravissime condizioni: ora è salvo. La sua storia

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Ha rischiato la vita a 12 anni per le complicanze provocate dall’infezione da coronavirus: a salvare il ragazzino, riporta l’Ansa, è stato il lavoro di una equipe multidisciplinare dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Ora, dopo 14 giorni in rianimazione e una degenza in pediatria, il piccolo è tornato a casa.

È la prima volta dall’inizio della pandemia, spiegano dall’ospedale, che i sanitari del Meyer si trovano “a fronteggiare un caso di tale gravità. Di solito, infatti, il virus colpisce in modo più lieve bambini e adolescenti. Nel caso del dodicenne, invece l’infezione ha scatenato un gravissimo quadro infiammatorio, che in termini tecnici è definito Pims: una sindrome di infiammazione multi-sistemica correlata all’infezione da Sars-CoV-2 identificata nell’età pediatrica”.

La Pims, spiega sempre il Meyer, è “una sindrome infiammatoria, provocata da una vera e propria tempesta di citochine, proteine che regolano la risposta immunitaria dell’organismo e che sono responsabili di una delle complicanze più temute di questa infezione. Una condizione del tutto imprevedibile e inaspettata, anche perché il paziente non soffriva di alcuna patologia pregressa”.

Il dodicenne era arrivato al Meyer dal pronto soccorso di un altro ospedale a causa di un quadro di shock con insufficienza renale che ha convinto i medici che lo avevano in cura a disporre con urgenza il trasferimento.

Alla struttura fiorentina il ragazzino è arrivato “cosciente, ma l’aggravamento delle sue condizioni è stato improvviso e rapidissimo. Le sue condizioni sono apparse subito gravissime, per la presenza di un’insufficienza multi-organo che ha compromesso prima la funzionalità dei reni, poi del sistema cardiocircolatorio, dei polmoni e dell’apparato gastroenterico. Il paziente, affidato alle cure degli operatori della rianimazione, è stato intubato e supportato nelle sue funzioni vitali”.

Il piccolo paziente è stato seguito, oltre che dagli specialisti delle cure intensive, da un team multidisciplinare composto da infettivologi, reumatologi, cardiologi e nefrologi. “Per giorni si è temuto il peggio, anche perché le condizioni del paziente non davano segni di miglioramento”.

“Non è stato facile – spiegano dall’ospedale – mettere a punto una terapia adeguata, anche per la mancanza di una casistica pediatrica sufficientemente ampia da fornire indicazioni univoche e sicure sulla cura da adottare”.

“In questo senso si è rivelata utile l’appartenenza a network nazionali e internazionali e il confronto tra specialisti pediatrici, che con l’espandersi dell’epidemia hanno condiviso le loro conoscenze. Nel caso del bambino, è stato efficace l’utilizzo di un farmaco inibitore della Interleuchina-1, di solito usato in gravi patologie autoimmuni, insieme ad altre terapie anti-infiammatorie (immunoglobuline e cortisone)”.

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