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Taiwan e i rapporti con la Cina e gli Usa dopo le elezioni: cosa cambia dopo la vittoria di Lai Ching-te

Cosa cambia nei rapporti tra Cina e Taiwan dopo la vittoria di Lai Ching-te alle elezioni: l'intervista a Giorgio Cuscito

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Fin dalla vigilia, il voto a Taiwan è stato considerato un possibile spartiacque nella crisi più o meno latente in corso da tempo tra Taipei e Pechino. L’elezione del nuovo presidente, Lai Ching-te, è considerata il segno di una continuità rispetto ai rapporti con la Cina, ma anche con gli Usa. L’isola rappresenta uno snodo importante sia dal punto di vista commerciale sia dal punto di vista militare, e gli Stati Uniti ne sono consapevoli. Cosa ne sarà della volontà di autonomia di Taiwan, che si scontra con la ferma presa di posizione della Cina? L’intervista a Giorgio Cuscito, analista esperto di Cina e Asia di Limes, e autore del libro Xi Jinping. Come la Cina sogna di tornare impero (Edizioni Piemme).

L’intervista a Giorgio Cuscito

Qual è il profilo di Lai Ching-te e cosa dobbiamo aspettarci da lui adesso?

“Possiamo aspettarci che prosegua nel solco di quanto fatto dalla presidente che lo ha preceduto, Tsai Ing-wen, perché ne è stato il vice per due mandati. Probabilmente continuerà a mantenere rapporti consolidati con gli Usa, sia dal punto di vista politico sia militare, incassandone il sostegno anche alle proprie forze militari. Ma è pensabile che rafforzi anche un’operazione di tipo culturale al proprio interno”.

Cosa significa, in cosa consiste e con che obiettivi?

“L’obiettivo è di valorizzare l’entità taiwanese per respingere i tentativi di Pechino di accrescere la propria influenza sull’isola, potenziando la pedagogia e instillando nelle nuove generazioni l’idea che i legami storici di Taipei con Pechino possono avere un senso storico, ma non comportano la cosiddetta unificazione che invece vorrebbe la Repubblica popolare cinese. Si tenterà, quindi, di slegare la cultura dell’isola dalla Cina, anche se si tratta di un’operazione non semplice dal momento che sono molti i punti in comune, sia dal punto di vista storico sia linguistico-culturale”.

Coda in un seggio a Taiwan

Come si inquadra la sua elezione a presidente di uno dei principali esponenti del Partito Progressista Democratico (DPP)? In passato si era detto favorevole all’indipendenza di Taiwan, pur cercando di tranquillizzare la comunità internazionale e gli elettori riguardo un possibile innalzamento della tensione con la Cina…

“Proseguire nel solco del mandato precedente significa preservare lo status quo. È vero che il DPP è il partito più favorevole al distacco, ma l’attuale Governo, come quello precedente, sa bene che la Repubblica popolare cinese ha capacità militari nettamente superiori rispetto a Taiwan. D’altro canto non sente il bisogno di dichiarare un’indipendenza de iure, di diritto, perché lo è di fatto: ha proprie elezioni, un sistema giuridico autonomo, eccetera. Da questo punto di vista probabilmente ci sarà un tentativo di tutelare proprio l’indipendenza di fatto dell’isola e degli altri isolotti, che insieme hanno formalmente il nome di Repubblica di Cina”.

È pensabile che la Cina rinunci alla riunificazione?

“Il termine riunificazione viene usato dalla Cina in riferimento al periodo in cui era sotto controllo della dinastia Qing, ma dal 1949 la Repubblica popolare cinese non ha mai esercitato la propria sovranità. Pechino ha stabilito come obiettivo il risorgimento, inteso come ritorno ai fasti dell’età imperiale: non può, quindi, fare un passo indietro dal punto di vista della retorica perché altrimenti dimostrerebbe la propria debolezza nei confronti dei cinesi, di Taiwan e degli Stati Uniti. Ma al momento è anche molto difficile pensare a una riunificazione con o senza l’uso della forza”.

Cosa significa “con o senza l’uso della forza”?

“Senza l’uso della forza appare difficile perché anche queste elezioni hanno dimostrato che il popolo di Taiwan non intende accettare questa riunificazione. Ma anche con la forza lo scenario è complicato, sia da un punto di vista operativo concreto, sia perché si dovrebbero fare i conti con gli Usa e con le inevitabili conseguenze in termini di danno di immagine per la Cina. Tra l’altro, in questo momento, Pechino deve gestire anche diversi problemi interni importanti e strutturali, come l’aumento del tasso di disoccupazione giovanile, il declino demografico e una crescente ansia giovanile. Non è, quindi, nelle condizioni migliori per pensare a una riunificazione a tutti i costi”.

Il rischio di uno scontro resta?

“Non si può scongiurare lo scenario peggiore, quello dello scontro, anche considerando le esercitazioni militari e la presenza dell’esercito cinese intorno a Taiwan: uno scontro su larga scala non è improbabile. Non è neppure escluso un possibile incidente o scontro indiretto con gli americani in caso di deterioramento dei rapporti tra Pechino e Taipei: potrebbe accadere se quest’ultima dichiarasse l’indipendenza o se aumentasse la presenza americana su suolo di Taiwan, per esempio, che potrebbe portare Pechino a sentirsi legittimata ad adottare una controffensiva”.

Perché l’isola, pur contando solo 23 milioni di abitanti, riveste un’importanza a livello internazionale?

“Per almeno due ragioni: nello stretto di Taiwan passa una larghissima quantità di navi commerciali e militari, quindi una parte dei flussi commerciali mondiali dipende dalla stabilità dei mari cinesi. È una situazione analoga, da questo punto di vista, a quanto si è verificato in questo periodo nel Mar Rosso. Entrambi sono colli di bottiglia che, se ostruiti per instabilità e conflitti, portano un grave danno all’economica mondiale. La seconda ragione è che negli anni, specie dagli anni ’90, Taiwan si è ritagliata un ruolo fondamentale nel campo tecnologico: ospita la TSMC, un’azienda di semiconduttori determinanti nella filiera dei microprocessori a livello mondiale. Un conflitto danneggerebbe la catena di approvvigionamento nel resto del mondo, perché questi componenti hanno anche un uso militare”.

Che ruolo hanno, in quest’ottica, gli Stati Uniti?

“La posizione di Taiwan è strategica, a pochi chilometri dalla Cina continentale. Proprio dalla prospettiva cinese controllarla significa neutralizzare la tattica di contenimento americana nell’Indo-pacifico, aprendosi una via diretta nel Pacifico, senza passare da altri Paesi che sono nella sfera di influenza statunitense, come Corea del Sud, Filippine, Giappone, eccetera. Rappresenterebbe, dunque, un passo avanti nella proiezione della regione, superando gli Usa nella capacità di controllo di quell’area. D’altro canto la recente risposta militare statunitense ai ribelli Houthi in Yemen vuole dimostrare che gli Usa sono ancora garanti del libero commercio, in questo caso nel Mar Rosso”.

Cosa potrebbe cambiare con il voto statunitense a novembre?

“La posizione nei confronti della Cina difficilmente cambierà, a prescindere da chi vincerà le presidenziali americane. A Washington sono convinti della necessità di contenere la Repubblica popolare cinese. È pur vero che le elezioni presidenziali saranno importanti per capire qual è l’umore interno agli Stati Uniti, che storicamente hanno una certa propensione all’introversione, a occuparsi dei propri affari, senza però rinunciare agli obiettivi esteri. In particolare, per gli Usa è importante preservare il primato nella capacità di proiettarsi oltre i propri confini. Oggi il problema è che faticano a sviluppare una strategia di lungo periodo nel quale gestire la Cina: sono consapevoli che occorre contenerne l’ascesa, ma non hanno ancora capito o scelto come farlo, se arrivando a uno scontro prima che la Cina li raggiunga da un punto di vista bellico, o se spartirsi il mondo con Pechino”.

Chi è Lai Ching-te

Lai Ching-te ha 64 anni e fa politica a Taiwan da quasi 40 anni.

A crescerla ci ha pensato la madre, da sola, dopo la morte del padre in miniera, quando Lai Ching-te aveva appena 2 anni.

Ha studiato Medicina e ha trascorso anche un periodo ad Harvard, ma alla fine degli anni Ottanta, quando Taiwan è diventata una democrazia libera, ha deciso di dedicarsi solo alla politica.

Si è iscritto al DPP ed è diventato parlamentare e sindaco della città di Tainan, una delle più grandi del Paese.

Tra il 2017 e il 2019 è diventato primo ministro sotto la presidente Tsai Ing-wen.

Dopo gli anni da vicepresidente, è stato poi eletto presidente nel gennaio 2024.

Fonte foto: ANSA

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