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POLITICA ESTERA

Dibattito Vance - Walz, chi ha vinto secondo i sondaggi e cosa hanno risposto sulla guerra tra Israele e Iran

Nessuna scintilla tra i due candidati vicepresidenti, JD Vance e Tim Walz, il dibattito non ha cambiato gli equilibri: ma secondo i sondaggi uno di loro avrebbe vinto

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Dopo il primo faccia a faccia tra Donald Trump e Kamala Harris, andato in scena il 10 settembre scorso sull’ABC News, martedì 1 ottobre è toccato ai candidati vicepresidenti, il repubblicano JD Vance contro il democratico Tim Walz, questa volta negli studi della CBC News di New York. A moderare il dibattito sono state le giornaliste Norah O’Donnell e Margaret Brennan. Per i due vice, l’obiettivo era convincere quella fetta di indecisi che potrebbero risultare determinanti negli Stati chiave, i cosiddetti Swing States, soprattutto ora che Kamala Harris sembra aver riguadagnato terreno. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, sarebbe persino davanti a Trump. Ben diversi i toni e il rapporto tra i due candidati alla vicepresidenza, che hanno parlato anche della guerra tra Israele e Iran. Il duello analizzato ai microfoni di Virgilio Notizie da Gianluca Pastori, docente di Storia delle relazioni internazionali dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) e ordinario all’Università Cattolica di Milano.

Dibattito tra vice, nessun insulto nonostante il microfono acceso

Uno dei motivi di interesse principali della vigilia riguardava il microfono acceso per entrambi gli intervistati, durante l’intervento dell’avversario.

Ma non si sono verificati incidenti, anzi, il confronto è iniziato e si è poi concluso con una stretta di mano cordiale tra i due, che a volte si sono rivolti l’un l’altro chiamandosi per nome.

JD Vance e Tim Walz, la stretta di mano prima dell’inizio del dibattito

Volti distesi e quasi sempre sguardo in camera hanno caratterizzato il faccia-a-faccia.

JD Vance ha puntato sul sogno americano ancora possibile, Walz sui rischi per la democrazia nel caso di un ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Chi è Tim Walz?

Nato a West Point, in Nebraska, il 60enne Tim Walz è il candidato vicepresidente scelto da Kamala Harris, che ha puntato sull’ex Guardia nazionale per parlare soprattutto a un elettorato maschile di età avanzata e bianco.

Si è occupato di agricoltura, manifattura e ha svolto l’attività di insegnante, che lo ha portato anche in Cina per diverse volte, anche come ricercatore per un anno.

Eletto alla Camera nel 2006, Walz è stato riconfermato fino al 2019, quando è diventato Governatore del Minnesota.

In questo Stato, Tim Walz ha preso una dura posizione in occasione della morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso durante un arresto da parte della polizia, protestando al fianco di migliaia di persone.

Chi è JD Vance?

Originario dell’Ohio, 40 anni, laureato a Yale in Legge, il senatore è un ex Marine e rappresenta l’ala dura del partito.

Parla alla pancia degli elettori repubblicani e si è distinto anche per aver saputo raccogliere donazioni nella Silicon Valley, dunque nella zona della California (democratica) dove si trovano le sedi di colossi come Google, Apple e Microsoft.

Le sue origini incarnano il sogno americano: nato da una famiglia operaia bianca ha realizzato una vera scalata sociale, come raccontato nel suo libro Hillbilly Elegy, “diventato un bestseller e un film, poiché difendeva gli uomini e le donne laboriosi del nostro Paese”, ha sottolineato lo stesso Trump.

L’intervista a Gianluca Pastori

Secondo un instant poll della CNN, Vance avrebbe vinto 51-49 contro Walz: cosa ne pensa?

“Nonostante l’esito del sondaggio di CNN che dà una vittoria di misura a Vance, l’impressione generale è che entrambi i candidati si siano effettivamente equivalsi. Forse si può individuare, però, un piccolo vantaggio comunicativo non tanto di Vance, ma di Walz. Il governatore del Minnesota è riuscito a non rimanere vittima del fact checking, come invece è successo a Vance. Quest’ultimo in alcuni momenti ha dato l’impressione di aver recitato la “lezione”: è chiaro che entrambe le presentazioni erano ovviamente studiate, ma forse Vance ha fatto maggior ricorso agli slogan”.

Sulla crisi in Medio Oriente nessuno ha risposto in modo chiaro alla domanda sulla posizione in caso di “attacco preventivo” qualora l’Iran si dotasse di un’arma nucleare. Perché?

“In effetti si tratta di un tema troppo delicato per prendere posizioni nette. In generale, su tutte le questioni il dibattito di ieri è stato certamente più piacevole e civile, più gradevole anche da un punto di vista televisivo, ma non si è riuscito a capire quali siano realmente le agende dei due candidati. Non si è capito sul Medio Oriente, ma anche su altri argomenti importanti”.

Immigrazione, economica, problema abitativo, sanità e aborto sono stati i temi principali: perché?

“Sì, perché la politica estera negli Usa entra nella campagna elettorale solo se va a toccare direttamente qualcosa che il cittadino americano sperimenta tutti i giorni. Per esempio, la crisi ucraina diventa un tema solo quando e se fa salire il costo della benzina, altrimenti non è una priorità. Certi argomenti rimangono ai margini del dibattito”.

Vale anche per il Medio Oriente?

“Sì, a maggior ragione perché entrambi gli schieramenti hanno al proprio interno posizioni molto contrastanti: ci sono democratici filoisraeliani e altri più sensibili alla causa palestinese, ma anche tra i repubblicani ci sono rappresentanti dell’idea dell’esportazione della democrazia e altri su posizioni molto diverse. Prendere una posizione chiare significa rischiare di scontentare una parte del proprio elettorato, perdere anche solo una piccola quota di voti e questo non lo vuole nessuno”.

Quanto può contare l’appoggio dei militari, e il fatto che Tim Walz fosse nella Guardia Nazionale, per strappare quel tipo di consenso?

“Credo che più che di amore per la Harris, si tratti di un forte astio forte nei confronti di Trump. Dietro la scelta di Vance come candidato vicepresidente, infatti, c’è l’idea di andare a parlare a quel tipo di constituency, cioè a quella fetta di elettori. Si tratta di coloro che Trump in passato ha definito dei perdenti, loosers, suckers. Non dimentichiamo che l’ex Presidente aveva anche litigato con i suoi collaboratori militari o con un passato militare. Esemplare il caso di James Mattis,  il generale andato via sbattendo la porta, criticando le scelte di politica militare di Trump; o quello di McCain, con cui ebbe un rapporto difficile. Lui, simbolo del Vietnam, eroe pluridecorato, volle tutti gli ex Presidenti al suo funerale tranne Trump. Certe scelte e posizioni si pagano, anche negli anni e la memoria di certe istituzioni conservatrici è lunga”.

Chi è riuscito a raggiungere l’uomo bianco di età media e adulta avanzata, che può risultare determinante per Trump o per la Harris?

“Penso che nessuno dei due sia riuscito veramente a sfondare. La campagna elettorale che stiamo vedendo finora ha dimostrato di non avere avuto un momento di svolta, ma piuttosto di proseguire rosicchiando piccoli benefici: gli equilibri si muovono poco, insomma. Fino all’ultimo momento vivremo nell’incertezza, i risultati rimarranno incerti fino allo spoglio delle schede”.

Potrà ancora esserci un nuovo faccia a faccia tra Donald Trump e Kamala Harris?

“Non credo: assisteremo piuttosto solo a comizi. I tempi ormai sono stretti, siamo all’ultimo mese di campagna elettorale. A questo punto nessuno vuole più un confronto diretto, perché in caso di errore non ci sarebbe tempo per recuperare. O si verificherà un nuovo attentato – ipotesi scongiurabile – o dovremo attendere il verdetto delle urne”.

Fonte foto: Getty

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