Scambio prigionieri tra Russia e Usa ma non solo, coinvolti 26 detenuti di 7 Paesi: chi sono quelli di spicco
La Russia ottiene il riconoscimento di potenza mondiale, i dem Usa respirano in vista del voto: l'analisi dello storico scambio di prigionieri. Chi sono quelli di spicco
Il presidente degli Usa, Joe Biden, ha accolto i prigionieri rilasciati grazie allo scambio concordato con la Russia, parlando di "impresa diplomatica" e affermando che "l’agonia è finita". Dal canto suo anche il presidente russo, Vladimir Putin, che ha salutato personalmente i propri connazionali rilasciati dagli Stati Uniti, lo considera un successo per proprio Paese. Sicuramente il cosiddetto prisoner swap, definito storico dai media americani, è unico in quanto a numeri. Sono 26 i detenuti coinvolti, appartenenti a 7 Paesi. Lo scambio è avvenuto all’aeroporto di Ankara, in Turchia, che ha giocato un ruolo importante nella mediazione tra le parti. L’intervista di Virgilio Notizie a Federico Petroni, analista di Limes e curatore della rubrica Fiamme americane.
- La reazione critica di Donald Trump sullo scambio
- Chi sono i prigionieri russi rilasciati
- Liberi molti oppositori russi e giornalisti americani
- L’intervista a Federico Petroni
La reazione critica di Donald Trump sullo scambio
Se l’operazione è ritenuta un successo della diplomazia, c’è chi ha accolto la notizia con toni critici.
Si tratta dell’ex presidente americano, Donald Trump, ora in corsa nuovamente per la Casa Bianca come candidato repubblicano. The Donald, sul proprio social media Truth, ha attaccato l’accordo per lo scambio di detenuti tra Usa, Russia e altri Paesi, lasciando intendere che sia sfavorevole a Washington e che sia avvenuto a fronte di un pagamento.
Un’ipotesi che lo stesso Trump definisce "un cattivo precedente per il futuro".
Inoltre, il candidato repubblicano critica il mancato coinvolgimento nei negoziati del consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan.
Lui stesso, però, in conferenza stampa ha rivelato un particolare della trattativa: Washington avrebbe lavorato a un accordo "che avrebbe dovuto includere anche Alexei Navalny, ma sfortunatamente è morto", ha detto.
Chi sono i prigionieri russi rilasciati
Tra i nomi di spicco dei prigionieri russi rilasciati ci sono:
- Vadimir Krasikov, ex colonnello di alto rango dell’Fsb, che stava scontando l’ergastolo in una prigione tedesca dopo essere stato condannato per l’omicidio dell’ex combattente ceceno Zelimkhan ‘Tornike’ Khangoshvili, nel 2019 a Berlino;
- Vadimir Konoshchenok, accusato dal Governo Usa di cospirazione;
- Vladislav Kljushin, uomo d’affari condannato a Boston lo scorso anno a nove anni di prigione per il coinvolgimento in transazioni di titoli basate su informazioni riservate, rubate a reti informatiche americane, che avrebbe fruttato circa 93 milioni di dollari.
Tra gli altri nomi ci sono anche quelli di hacker e spie russe in Slovenia, Polonia e Norvegia.
Liberi molti oppositori russi e giornalisti americani
Nell’operazione, che ha richiamato azioni da Guerra Fredda, sono stati liberati anche oppositori di Mosca, tra cui:
- Oleg Orlov, ex capo dell’organizzazione ‘Memorial’, vincitore del premio Nobel per la pace;
- Ilya Yashin, stretto alleato di Alexei Navalny;
- Lilia Chanysheva, anche lei xx collaboratrice dell’organizzazione di Navalny.
Negli Usa, invece, sono tornati:
- Evan Gershkovich, giornalista del Wall Street Journal condannato a 16 anni di prigione per spionaggio a luglio;
- Paul Whelan, ex marine che ha trascorso quasi sei anni nelle prigioni russe dopo il suo arresto a Mosca nel dicembre 2018. Era stato condannato nel 2020 a 16 anni di prigione con l’accusa di spionaggio.
L’intervista a Federico Petroni
Lo scambio viene definito dai media americani come "storico". È così?
"Sì, è storico per la quantità delle persone e di paesi coinvolti. Dà l’idea di un vero e proprio dialogo strutturato, benché sotterraneo, tra Occidente e Russia, che fa ben sperare in una futura svolta, nonostante lontana, nei negoziati in Ucraina. È stato riconosciuto che coi russi si può e si deve parlare, che la Russia è un attore legittimo – che ha propri interessi – e questo certo rappresenta un successo per Mosca".
Quale effetto potrebbe esserci proprio per le sorti del conflitto in Ucraina?
"Affermare che l’accordo genererà sicuramente delle ricadute sull’Ucraina è prematuro, ma l’intesa ci dice che non c’è una chiusura completa tra le parti e che i contatti diplomatici avvenuti nei mesi e nelle settimane scorse non era isolati, né iniziative estemporanee di attori che agivano per conto proprio, ma facevano parte di un tentativo di esplorare e negoziare con i russi".
Quali sono questi attori? La Turchia, nel cui aeroporto della capitale Ankara è avvenuto lo scambio?
"Sicuramente e questo dimostra che quando la Turchia si muove significa che le condizioni sono serie, specie quando riguardano il conflitto ucraino e, in generale, situazioni nelle quali la Russia è in guerra. Ricordiamo che Ankara ha mediato l’accordo sul grano, che resta la più grande iniziativa diplomatica nei quasi due anni e mezzo di guerra. I turchi ambiscono, infatti, ad essere coloro che medieranno la pace o il cessate il fuoco in Ucraina. Poi bisognerà vedere se russi e occidentali le permetteranno questo ruolo".
Che ruolo ha avuto invece l’Europa?
"L’Europa e i suoi Stati membri sono cobelligeranti nel conflitto in Ucraina, quindi non sono percepiti come attori intermedi, sfortunatamente. Benché italiani, francesi e altri europei sostengano attivamente l’Ucraina, perché non è nostro interesse che sia sconfitta, è comunque nostro compito preparare un tavolo della diplomazia: con i russi dovremmo convivere più che con altri Paesi. Il fatto che si lascino queste iniziative di negoziazione ad altri Stati rappresenta da questo punto di vista una sconfitta".
Chi esce vincitore da questo scambio: Russia o Stati Uniti?
"È un successo per entrambi. È chiaro che per gli americani è un boccone amaro la necessità di riconoscere un ruolo anche alla Russia. Dal canto suo Putin ha raggiunto l’obiettivo di veder riconosciuto un ruolo così rilevante per il proprio paese, anche solo parlare di guerra fredda è una soddisfazione, richiama la veste da super potenza della ex Unione sovietica".
Ci sono anche risvolti interni, soprattutto per gli Usa, in piena campagna elettorale?
"Certamente per Biden e i democratici è un punto a favore, dal momento che Trump aveva affermato che sarebbe stato lui a far liberare Gershkovich. Serve, quindi, a dimostrare anche all’ opinione pubblica interna che non è solo lui a riuscire a negoziare con Mosca. Sappiamo che l’elettorato americano non sceglie il Presidente sulla base di queste questioni, ma certo questa operazione può portare qualche vantaggio alla campagna elettorale democratica".
C’è chi critica questo accordo, ritenendolo "asimmetrico" e sbilanciato a favore della Russia, che ottiene la liberazione di spie e hacker, mentre negli Usa tornano soprattutto operatori dei media. Cosa ne pensa?
"Il peso dei prigionieri può essere simbolico, non deve limitarsi solo alla loro funzione o professione. È vero che Putin ha ottenuto il rilascio di persone che può impiegare nelle proprie tattiche ibride, ma un Paese può anche valorizzare quelli che sono simboli importanti per la propria società, come nel caso americano. A questo aggiungerei che non ci sono molti giornalisti russi nelle carceri americane".