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Nove arresti nell'operazione contro la 'ndrangheta a Ivrea vicino Torino: colpo al clan Alvaro di Sinopoli

Operazione anti 'ndrangheta nel Torinese, 9 arresti a Ivrea e colpo inferto alla famiglia Alvaro, clan di Sinopoli

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Simone Vazzana

GIORNALISTA

Giornalista professionista, è caporedattore di Virgilio Notizie. Ha lavorato per importanti testate e tv nazionali. Scrive di attualità, soprattutto di Politica, Esteri, Economia e Cronaca. Si occupa anche di data journalism e fact-checking.

Colpo alla ‘ndrangheta. All’alba di giovedì 20 aprile, i carabinieri del Comando provinciale di Torino hanno formalizzato 9 arresti dopo l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari (gip) del tribunale del capoluogo piemontese, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia (Dda). Le persone finire in prigione sono accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso. Sarebbero tutte appartenenti al clan Alvaro di Sinopoli, in provincia di Reggio Calabria, e avrebbero operato nel territorio di Ivrea, nel Torinese.

L’indagine durata 8 anni

L’indagine, iniziate nel novembre 2015 e condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto il coordinamento della Procura della Repubblica e della Dda del capoluogo piemontese, ha permesso di raccogliere numerose prove nei confronti della presunta cellula locale della ‘ndrangheta operante sul territorio di Ivrea, nel Torinese.

A farne parte, soggetti ritenuti appartenenti alla cosca degli Alvaro di Sinopoli, in provincia di Reggio Calabria.

Ivrea, in provincia di Torino, dove si è concentrata l’operazione anti ‘ndrangheta dei carabinieri

Tra i delitti contestati alle 9 persone arrestate ci sono, a vario titolo:

  • associazione mafiosa;
  • estorsione;
  • truffa aggravata;
  • ricettazione;
  • usura;
  • violenza privata;
  • detenzione e porto illegale di armi.

Le indagini sono nate da una costola delle precedenti operazioni ‘Carni i cani’ e ‘Big bang’, con l’obiettivo di analizzare i contatti tra il clan Crea e il clan Alvaro.

I 9 indagati, alcuni dei quali già gravati da diversi precedenti penali e condanne per reati associativi e afferenti agli stupefacenti, sono stati condotti in diverse carceri in regioni vicine al Piemonte, in attesa dell’interrogatorio di garanzia davanti al gip.

Cosa sappiamo sul clan Alvaro di Sinopoli

L’esponente di spicco del sodalizio sarebbe stato individuato in Domenico Alvaro, già condannato a 14 anni di reclusione nel 2021 per associazione mafiosa, diretta emanazione del padre Carmine Alvaro, 70 anni, vertice dell’omonima ‘ndrina di Sinopoli (Reggio Calabria).

Secondo le indagini dei carabinieri di Torino, ci sarebbero stati due ambienti criminali distinti, entrambi legati alla ‘ndrangheta.

Da una parte un’organizzazione dedita a un vasto traffico di sostanze stupefacenti su scala internazionale con base a Torino: il 5 novembre 2019, al culmine dell’operazione ‘Cerbero, sono state arrestate 71 persone.

Dall’altra un’organizzazione, facente capo allo stesso Domenico Alvaro, che avrebbe portato a termine vari reati contro il patrimonio sul territorio italiano ed estero: quest’indagine, nota come ‘Cagliostro’, ha fatto emergere il ruolo di Carmine Alvaro che, attraverso il suo primogenito, avrebbe strutturato una stabile articolazione di tipo mafioso ‘ndranghetista radicata sul territorio di Ivrea e zone limitrofe, collegata alla rete unitaria della ‘ndrangheta piemontese.

La truffa: lingotti d’oro e gioielli

Gli indagati, secondo l’accusa, accusatoria, si accreditavano espressamente come persone legate a ‘famiglie’ criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro ‘sporco’ corrispondendo in cambio somme di denaro significativamente inferiori con il versamento, a titolo di anticipo, di un acconto, a volte sotto forma di lingotti d’oro e gioielli, che diventava il provento del raggiro.

Una volta scoperte le truffe, gli indagati avrebbero utilizzato la loro appartenenza all’associazione mafiosa per intimidire le vittime e farli desistere da ogni azione per riavere il maltolto.

Le somme sottratte in modo fraudolento supererebbero i 600 mila euro.

Inoltre, ci sarebbero prove di due estorsioni ai danni di un broker finanziario, minacciato dai membri dell’associazione mafiosa: da lui si sarebbero fatti consegnare 85 mila euro incassati attraverso l’intermediazione di alcune società fittizie e ai danni di alcuni imprenditori operanti nel mercato ittico.

Un imprenditore edile in difficoltà economiche, poi, sarebbe stato costretto a effettuare dei lavori presso l’abitazione di uno degli indagati senza corrispondere alcun prezzo, per poi indurlo ad accettare un prestito a tasso usuraio.

La sfida tra il clan Alvaro e il clan Belfiore

Le indagini hanno infine permesso di raccogliere indizi su esponenti del clan Belfiore, che avrebbero estorto del denaro a due indagati in un contesto di intimidazione mafiosa che avrebbe di fatto rivelato la caratura criminale dei rappresentanti della famiglia, riconosciuta anche dagli esponenti della cosca Alvaro.

Sostanzialmente, i Belfiore si sarebbero proposti come alternativa agli Alvaro, esercitando un potere di rivalsa nei confronti di alcuni indagati.

Fonte foto: ANSA

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