Non solo Alexi Navalny tra i nemici di Vladimir Putin trovati morti: da Anna Politkovskaya a Yevgney Prigozhin
Alexi Navalny non è il primo oppositore di Vladimir Putin a morire, prima di lui anche Politkovskaya e Prigozhin
Nella mattina del 16 febbraio 2024, un comunicato diffuso dal servizio penitenziario federale russo ha annunciato che Alexi Navanly, dissidente leader dell’opposizione russa che stava scontando una pena di 19 anni in una remota colonia carceraria artica, è morto. Si allunga così la già lunga lista di oppositori di Vladimir Putin prematuramente deceduti: dalla giornalista Anna Politkovskaya al militare Yevgney Prigozhin.
- Alexi Navalny non è il primo morto tra i dissidenti
- Le storie di Anna Politkovskaya e Yevgney Prigozhin
- La fine degli oppositori di Vladimir Putin
Alexi Navalny non è il primo morto tra i dissidenti
“Il prezzo del coraggio” è il titolo del quotidiano francese Libération. “Da eroe ha vissuto, e da eroe è morto” ha scritto Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.
La tv locale Russia Today afferma che Alexi Navalny è morto a causa di una trombosi. “Si è sentito male dopo la passeggiata. […] Sono state eseguite le misure di rianimazione che non hanno dato risultati positivi” riporta il comunicato ufficiale.
Eppure, per l’Occidente, le cause del decesso del più noto oppositore di Vladimir Putin sono da ricercarsi nelle sue idee dissidenti. Così come è già stato per tanti altri prima di lui.
Le storie di Anna Politkovskaya e Yevgney Prigozhin
Yevgney Prigozhin era noto con il soprannome di “cuoco di Putin”, perché al leader russo era vicinissimo (oltre che per la sua attività nella ristorazione).
Ex oligarca, Prigozhin aveva assunto un ruolo di spicco nell’ambiente militare, fino a divenire numero uno della Wagner, brigata di mercenari russi, attivi anche nel conflitto in Ucraina.
Nel 2022 ricevette l’onorificenza di eroe della Federazione Russa e, nel corso degli anni, altre varie medaglie al merito per la Patria.
Era tra i preferiti del leader russo fino a quando, nell’estate del 2023, tentò di minare – con un largo consenso – l’autorità militare russa.
Fu costretto a mesi da fuggitivo e, il 23 agosto, il jet privato su cui viaggiava si è inspiegabilmente schiantato nel tragitto tra Mosca e San Pietroburgo.
Molto diversa è la storia di Anna Politkovskaya, giornalista da sempre definitasi “una reietta”.
Lo era perché, nei suoi libri e nelle numerose inchieste pubblicate sulla Novaya Gazeta, Politkovskaya aveva raccontato delle crudeltà del conflitto in Cecenia e delle misere condizioni di numerosi cittadini russi.
Il 5 ottobre del 2006, la giornalista russo-americana, in un’intervista a Radio Svodoba, aveva appellato il capo della Repubblica Cecena, Ramzan Kadyrov, come “lo Stalin dei nostri giorni”.
Circa 48 ore dopo, il 7 ottobre – giorno del compleanno di Vladimir Putin – la donna fu assassinata con 4 colpi di pistola mentre, di rientro nella propria abitazione, era in attesa dell’ascensore. Aveva 48 anni.
La fine degli oppositori di Vladimir Putin
Collega di Anna Politkovskaya alla Novaya Gazeta era Anastasia Baburova, giornalista ucraina che indagava sulle attività dei gruppi neonazisti.
Barburova nel 2009 fu freddata per le strade di Mosca e con lei fu ucciso anche Stanislav Markelov, avvocato paladino dei diritti umani.
Tra le personalità più in vista del panorama politico russo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, Boris Nemtsov fu vicepremier del governo Eltsin e consigliere economico di Viktor Juschenko.
Di idee liberali e fortemente critico contro l’imperialismo russo, raccolse un milione di firme contro la prima guerra cecena e nel 2014 dichiarò il proprio sdegno contro l’invasione russa della Crimea.
Il 27 febbraio 2015, a 46 anni, fu assassinato mentre camminava nei pressi del Cremlino. Per l’omicidio furono condannati cinque sicari ceceni, ma recenti inchieste vedono nel mandante una figura ai vertici del FSB, le forze di sicurezza eredi del KGB.
Agente della FSB (e prima del KGB) fu Alexander Litvinenko che, nei suoi anni di attività a caccia di associazioni definite terroristiche, sviluppò una posizione molto critica contro il potere russo in generale e verso la figura di Vladimir Putin in particolare.
Accusò pubblicamente i propri superiori di aver assassinato un milionario russo e, poco dopo, fu accusato di aver maltrattato un arrestato durante un interrogatorio e, per questo, fu imprigionato ma rilasciato per insufficienza di prove.
Si ritirò in esilio a Londra, ottenendo lo status di rifugiato politico. Dall’Inghilterra pubblicò un libro in cui attribuiva agli agenti del FSB la responsabilità degli attentati occorso in Russia nell’estate del 1999 che provocarono oltre 300 vittime.
Il 23 novembre 2006, Litvinenko è morto a causa di un avvelenamento da radiazione da polonio.