L'attentato dell'Isis a Mosca e le accuse della Russia all'Ucraina: cosa non torna, l'analisi dell'esperto
Cosa non torna nell’attentato dell'Isis a Mosca e quali sono i rischi oggi per la Russia, ma anche per “l’Occidente comune”. L’analisi di Arduino Paniccia
Mosca e la Russia cercano di riprendersi dopo il violento attentato di venerdì 22 marzo al Crocus City Hall. Passata la giornata di lutto nazione, proclamata dal presidente Vladimir Putin, i presunti responsabili dell’attacco rimangono in carcere, dopo una prima udienza nella quale è stata formalizzata l’accusa di “terrorismo”. L’intervista concessa a Virgilio Notizie da Arduino Paniccia.
Chi ha rivendicato l’attentato a Mosca
Come riferito dall’agenzia russa Tass in tre (tutti con documenti di identità tagiki) si sono dichiarati colpevoli e rischiano l’ergastolo.
Ma mentre l’Isis ha rivendicato la strage, il Cremlino non esista ad attribuire responsabilità all’Ucraina, verso la quale sembra che gli attentatori in fuga fossero diretti.
L’intervista ad Arduino Paniccia
Ma cosa è accaduto? E perché l’Isis è tornato a colpire dopo anni? Quali implicazioni potrebbero esserci anche in altre aree calde, come quella mediorientale e asiatica in generale? L’intervista ad Arduino Paniccia, analista, opinionista e scrittore, già consulente per agenzie Onu, esperto Ispi e nonché fondatore dell’Asce – Scuola di Competizione Economica Internazionale (ex Scuola di guerra).
Gli Usa danno credito alla rivendicazione dell’Isis (in realtà due), la Russia accusa l’Ucraina di essere stata pronta ad aprire le porte agli attentatori in fuga. Come leggere questa contrapposizione?
“Personalmente sono scettico riguardo alla versione russa che porterebbe a un coinvolgimento o appoggio ucraino agli attentatori. Ritengo, invece, che gli Usa avessero inviato messaggi molto concreti sulla minaccia terroristica in crescita. Dopo il tentato attacco alla sinagoga e altri movimenti sospetti all’interno della Federazione russa, Mosca avrebbe dovuto essere più cosciente dei rischi, ma sembra aver preferito ignorare i messaggi statunitensi. Washington, invece, ha dimostrato di avere ancora un certo controllo nelle informazioni provenienti da un’area che comprende anche l’Afghanistan, nonostante il disimpegno con il ritiro militare. Insomma, c’era più che il sentore di un ritorno del terrorismo di matrice sunnita, del quale sembrava ci si fosse dimenticati e che fosse ormai in secondo piano rispetto a quello di matrice sciita, riconducibile all’Iran, che è rimasto attivo”.
Perché l’Isis, e nello specifico il ramo afghano dell’Isis Khorasan (Is-K), avrebbe voluto colpire Mosca e la Russia?
“Sicuramente ha molto conti da regolare e questo rappresenta una criticità da un punto di vista operativo. Ha, infatti, legami con altre aree di influenza della Federazione russa dove operano altri gruppi terroristici. Credo, però, che questo attentato abbia anche un forte valenza propagandistica, ‘d’immagine”: si è voluto mandare un segnale riproponendosi come il naturale terrorismo, derivato dal Califfato e che si contrappone a quello sciita controllato dall’Iran, come nel caso di Hamas, Hezbollah o gli Houti”.
In qualche modo, quindi, anche in questo caso c’entra l’Iran, quantomeno in chiave di scontro interno?
“Sì, credo sia così. La sensazione è che l’Isis non voglia lasciare il monopolio del comando e controllo del mondo islamico a Teheran, che invece di recente appariva sempre più come punto di riferimento. La stessa Russia ha avuto molto più che una vicinanza all’Iran, come del resto anche la Cina, ma questa può rivelarsi un’arma a doppio taglio: l’Iran è un alleato sempre molto scomodo, prendere armi (come i droni) dalla Repubblica islamica e trattarlo come un Paese di maggiore spessore, può comportare rischi ingenti, come si è visto. Temo che il problema è che temo che non si fermerà qui e che ci potranno essere altri attentati”.
Ma l’Isis è un “nemico comune”? Anche in Germania il ministro degli Esteri, Annalena Charlotte Alma Baerbock, ha detto che “sarebbe potuto accadere a noi”, senza escludere questo rischio in futuro. Cosa pensare?
“Da questo punto di vista noi europei sembriamo meno esposti. In Europa gli allarmi riguardano soprattutto possibili azioni di lupi solitari o assimilabili, quindi meno attacchi strutturati. Lo scontro, non nuovo, tra i due terrorismi di matrice islamica – sunnita e sciita – si consuma soprattutto nell’area mediorientale, da sempre destabilizzata, e in quella caucasica dove da anni si combatte sotto traccia nella disattenzione generale. Detto ciò non si può escludere ormai nulla”.
L’attentato, intanto, ha posto la questione dell’Occidente comune, una definizione utilizzata anche dal presidente russo, Putin per indicare quell’Occidente che non si contrappone all’est asiatico, ma quell’insieme caratterizzato piuttosto da Paesi cristiani, ai quali fanno da contraltare quelli musulmani. La Russia, in questo caso, vi appartiene e potrebbe essere stata colpita anche per questo?
“Infatti, nel momento di tensione generale che stiamo vivendo, a causa del conflitto in Ucraina e a Gaza, questo sembrerebbe l’unico aspetto per così dire positivo. È evidente, infatti, che è difficilissimo intavolare negoziati credibili sull’Ucraina così come in Palestina, mentre incredibilmente l’attentato a Mosca e la minaccia terroristica potrebbero per paradosso rappresentare un terreno comune di dialogo tra Usa e Russia”.
Quindi potrebbe esserci una possibilità di “disgelo” nella contrapposizione est-ovest?
“Esatto e questo sembrava lasciarlo intravedere anche l’intervista del generale John R. Allen di poche settimane fa, in cui improvvisamente affermava che in qualche modo Putin avrebbe potuto essere coinvolto in un dialogo se le condizioni generali fossero degenerate. Insomma, verrebbe da pensare o auspicare che ci siano segnali di un possibile terreno comune di confronto, a cui potrebbe partecipare anche la Cina. Non dimentichiamo che anche Pechino, dopo un primo momento in cui si era anche posta come possibile mediatrice in un piano di pace per l’Ucraina, si era poi eclissata. Ora la minaccia terroristica potrebbe fare da collante”.
Perché anche la Cina potrebbe avere interesse a riaprire un dialogo?
“Perché anche la Cina è molto preoccupata dall’idea di veder rinascere componenti islamiche non controllate dall’Iran alle frontiere afgane e caucasiche. L’Afghanistan confina con molti paesi e li impensierisce, è un Paese centrale e, dopo 20 anni di guerra, pare che oggi non abbia intenzione di rimanere escluso dal controllo del mondo islamico”.