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Iginio Massari ricorda quando era migrante: "Gli italiani non erano ben visti, ci chiamavano mafiosi"

Intervistato in tv il maestro pasticcere Iginio Massari racconta la sua vita e ricorda quando era migrante in Svizzera

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Marco Vitaloni

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista esperto di politica e con una passione per tecnologia e innovazione, scrive quotidianamente di cronaca e attualità. Marchigiano, studi in Comunicazione, collabora con diverse realtà editoriali locali e nazionali.

A 82 anni Iginio Massari, maestro pasticcere noto in tutto il mondo, ha scritto la sua autobiografia, raccontando la sua vita e la sua carriera. Ne ha parlato anche in una intervista in tv a Dritto e Rovescio, in cui ha ricordato quando era migrante, dopo l’ultima guerra.

Iginio Massari a Dritto e Rovescio

Nella puntata di giovedì 21 novembre di Dritto e Rovescio su Rete 4 Paolo Del Debbio ha intervistato uno dei più celebri pasticceri italiani, Iginio Massari, fondatore della storica Pasticceria Veneto a Brescia.

Nei giorni scorsi è uscita la sua autobiografia, edita da Baldini Castoldi, Iginio Massari. Giorni anni e mesi di una vita intensa, nella quale ripercorre la sua vita e il suo lunghissimo percorso che l’ha portato ai vertici dell’alta pasticceria.

 Iginio Massari con la figlia Debora

Iginio Massari ricorda quando era migrante

Nel corso dell’intervista Iginio Massari, classe 1942, ha ricordato l’infanzia e l’adolescenza, nell’Italia nei primi anni dopo la Seconda Guerra mondiale e poi in Svizzera, dove era emigrato con la famiglia.

Il maestro pasticcere aveva 14 anni quando andò in Svizzera, dove iniziò a lavorare per un pasticciere nella zona di Berna.

Massari ha ricordato il lungo viaggio in treno, 12 ore, per andare da Brescia a Domodossola, alla frontiera, durante il quale ha visto “tutte le ferite che la guerra ha procurato”.

“Gli italiani non erano ben visti”

La vita da migrante è stata una “sofferenza” per Massari, perché “gli italiani non erano ben visti“.

Nonostante fossero tutti regolari, “non c’erano fannulloni e tutti lavoravano, perché gli svizzeri altrimenti non facevano entrare”.

“La prima cosa che ci dicevano erano ‘italiani mafiosi‘”, ricorda Massari.

Fonte foto: ANSA

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