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Uno studio conferma il collegamento tra Covid e smog: quali sono le città più inquinate d'Italia

C'è un collegamento tra Covid e smog, lo dice uno studio del Dipartimento di Epidemiologia del Lazio: da Legambiente il rapporto sulle città inquinate

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

In Italia sono ben 72 città dove nel 2022 si sono superati i limiti di polveri sottili Pm10, raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). A indicarlo è il report annuale Mal’aria di città 2023: cambio di passo cercasi di Legambiente, che ha monitorato 95 centri urbani. Nello specifico, per quanto riguarda il Pm10, cioè il particolato che deriva soprattutto dal riscaldamento, sarebbero solo 23 su 95 le città entro le soglie indicate dall’Oms, ossia 20 µg/mc, microgrammi per metro cubo, pari al 24% del totale. Lo studio conferma un collegamento tra Covid e smog.

L’allarme di Legambiente sulle città italiane più inquinate

A questi dati, già di per se stessi non confortanti, si aggiunge il monito di Legambiente, che ricorda come entro il 20230 occorre adeguarsi ai nuovi limiti stabiliti dall’Unione europea, che entreranno ufficialmente in vigore tra 7 anni e che prevedono 20 µg/mc per il Pm10; 10 µg/mc per il Pm2.5; 20 µg/mc per l’NO2.

Sotto la lente ci sono soprattutto grandi centri del Nord Italia, come Torino e Milano, che dovrebbero tagliare le emissioni del 43%, ma anche Cremona (del 42%), Andria in Puglia (del 41%) e Alessandria (del 40%) per il Pm10.

Per quanto riguarda le micro-polveri come il Pm2.5 l’elenco diventa ancora più lungo e comprende Monza (60%), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (57%), Bergamo, Piacenza, Alessandria e Torino (55%), Como (52%), Brescia, Asti e Mantova (50%).

Le città di Milano (47%), Torino (46%), Palermo (44%), Como (43%), Catania (41%), Roma (39%), Monza, Genova, Trento e Bolzano (34%), per l’NO2.

Cosa dice lo studio

A questo quadro, però, si unisce il risultato di uno studio, condotto dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio, in cui è stato indagato il possibile messo tra esposizione cronica a inquinamento atmosferico e l’incidenza di SARS-CoV-2, insieme alla mortalità da Covid-19, al netto di altri fattori di rischio fondamentali, quali l’età, il sesso, la deprivazione socioeconomica, la storia clinica e le caratteristiche topografiche del quartiere di residenza.

L’analisi ha riguardato tutti i residenti adulti a Roma (ossia un campione da oltre 1.5 milioni di persone, da Gennaio 2020 fino al 15 aprile 2021. Il risultato mostra come l’esposizione di lungo periodo allo smog è correlata a un aumento della mortalità tra i pazienti con COVID-19, ma non all’incidenza di SARS-CoV-2 nella popolazione generale.

L’intervsta ad Alessandro Miani

Sullo stesso argomento erano stati condotti altri studi anche dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima), di cui è presidente il dottor Alessandro Miani, intervistato da Virgilio Notizie.

Cosa ne pensa del nuovo studio?

“In realtà sono molti gli studi che hanno evidenziato come nelle aree più inquinate del pianeta il Covid-19 abbia generato più morti. Uno studio coordinato da Sima e realizzato con l’Università Complutense di Madrid e l’Università del Sannio ha mostrato i diversi impatti in termini di infezioni, ricoveri e mortalità che il Covid ha prodotto nei diversi territori a seconda dell’intensità dell’inquinamento atmosferico e dell’estensione delle aree verdi, costituendo un’ulteriore prova che l’ambiente influisce direttamente e in modo rilevante sul nostro stato di salute – spiega Miani – Nel complesso è emerso come 1 chilometro quadrato di aree verdi urbane per 100 mila abitanti corrispondono a circa 68 contagi in meno tra la popolazione e 115 decessi evitati. L’impatto dell’inquinamento atmosferico è stato anche maggiore. Infatti a ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo di Pm2.5 per 100 mila abitanti corrispondono 367 contagi in più e addirittura 796 morti evitabili”.

Qual è il motivo per cui l’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di infezione Covid?

“La Sima , insieme a ricercatori di diversi Atenei italiani ed internazionali, ha indagato nel periodo antecedente il primo lockdown una possibile spiegazione all’elevato numero di contagi e velocità di diffusione della malattia riscontrati nel Nord Italia rispetto ad altre Regioni, proponendo su questo tema un’ipotesi meccanicistica, pubblicata scientificamente e molto citata a livello internazionale. Nello studio si evidenziava come le polveri sottili atmosferiche sono un possibile carrier, un veicolo del virus in specifiche e particolari condizioni di stabilità atmosferica, tipiche della Pianura Padana nei mesi invernali. Sempre SIMA, prima al mondo ha isolato l’RNA virale del Sars-Cov-2 sul PM10 di Bergamo. Questi iniziali studi sono proseguiti focalizzandosi sull’atmosfera indoor, ossia degli ambienti confinati aperti al pubblico, in cui il mancato utilizzo diffuso di mascherine FFP2, di sistemi di ventilazione meccanizzata e di purificazione dell’aria hanno contribuito ad aumentare la diffusione del virus. Solo più tardi i CDC americani, i Centers for Disease Control, e l’OMS hanno confermato che si tratta di un virus airborne, ovverosia trasportato dall’aria tramite aerosol di particelle fisiologiche, emesse con l’espirazione di persone potenzialmente infette presenti in un determinato luogo”, chiarisce l’esperto.

Quali sono le altre patologie connesse allo smog, ormai note?  

“Secondo l’Oms (che nel frattempo si è sbilanciata con una previsione sulla fine della pandemia, ndr) un terzo delle morti premature dovute a infarti o ictus cerebrali, broncopneumopatie e tumori polmonari sono direttamente attribuibili agli inquinanti atmosferici – prosegue Miani – Se guardiamo ai dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità relativi ai decessi per Covid-19 in Italia, ci rendiamo conto che i circa 75 mila morti del 2020 e i 60 miladel 2021 (quando è stata poi implementata la campagna vaccinale) sono di fatto paragonabili ai numeri dei decessi attribuiti ogni anno dalle autorità europee all’inquinamento atmosferico in Italia. Si tratta più precisamente di 80mila decessi prematuri all’anno, di cui 9mila morti per infarto, 12mila per ictus, 7mila per crisi respiratorie. Il livello di gravità della patologia ambiente-correlata dipende da vari fattori, tra cui la durata dell’esposizione all’inquinante, l’intensità dell’esposizione e la risposta individuale”.

Di fronte a questi dati si rinnova l’appello per una riduzione dei livelli di inquinamento. Quali sono i soggetti più a rischio?

“Come per qualunque altra patologia i soggetti più a rischio sono gli anziani, i fragili, le persone con disabilità, i malati oncologici, i soggetti con patologie croniche. Ma anche i bambini rientrano tristemente in questa classifica. Purtroppo – ricorda concludendo il presidente di Sima- l’Italia è prima in Europa per incidenza di tumori pediatrici e di tumori infantili, con una incidenza percentuale che è doppia rispetto la media UE nel primo caso e tripla nel secondo caso”.

Fonte foto: ANSA
Coronavirus: l'Italia ferma è meno inquinata. Immagini dell'Esa

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