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Malattia del cervo zombie presente anche in Europa, si valutano rischi per l'uomo: la spiegazione dell'esperto

Fabio Moda, ricercatore del Besta di Milano, sostiene l'assenza, per il momento, di rischi di trasmissibilità della malattia del cervo zombie all'uomo

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Gabriele Silvestri

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista, esperto di media, scrive di cronaca, politica e attualità. Laureato in comunicazione alla Sapienza, si è affermato come autore e conduttore di TG e programmi giornalistici. Collabora con diverse redazioni online, emittenti televisive e radiofoniche.

La malattia del cervo zombie è presente anche in Europa e secondo gli esperti non si possono ancora escludere rischi per l’uomo. A parlarne è Fabio Moda, ricercatore dell’Irccs, Istituto neurologico Besta di Milano. La patologia  neurodegenerativa che colpisce i cervidi, rilevata in Wyoming ma nota nel nostro continente dal 2016, è ancora un discreto rompicapo per quel che riguarda la sua origine e la possibilità di trasmissione all’uomo. Al momento non ci sarebbero prove sufficienti a confermare questa eventualità: tuttavia, chiarisce l’esperto, si cerca di individuare tracce di prioni nella carne per il consumo umano, valutando le probabilità di passaggio da una specie all’altra da parte del patogeno.

Cos’è la malattia del cervo zombie

Il deperimento cronico del cervo (Cwd) è uno stato patologico provocato dai prioni, proteine anormali che alterano altre proteine normali nel cervello, causando una malattia degenerativa. Di recente, questa patologia è finita sotto i riflettori mediatici dopo che nel solo stato americano del Wyoming l’hanno contratta 800 animali fra cervi e alci.

Come spiega l’Istituto Besta di Milano, questa patologia rende i cervidi sbavanti, letargici ed emaciati, caratterizzandosi per lo sguardo vuoto. Uno status che ha di fatto suggerito il nome di “malattia del cervo zombie”.

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I rischi di trasmissibilità all’uomo

Non è ancora del tutto chiaro come questa malattia abbia avuto origine e se possa essere trasmessa da specie a specie, compresi gli esseri umani. A fornire le spiegazioni del caso è Fabio Moda, ricercatore dell’Irccs Istituto neurologico Besta di Milano.

“Per quanto riguarda la trasmissione agli esseri umani, al momento non ci sono prove che suggeriscano una potenziale zoonosi” ha spiegato l’esperto nel settore delle malattie da prioni (umane e animali), che studia la patologia in collaborazione con l’Istituto veterinario norvegese (Oslo) e con la University of Life Sciences norvegese.

Gli studi sui prioni per escludere i rischi

Tuttavia, sono in corso studi approfonditi per escludere del tutto i rischi. “Esiste la possibilità che tracce di prioni associati alla Cwd possano essere presenti nella carne, destinata al consumo umano, e che solo con le piattaforme di amplificazione attive all’Istituto Besta sia possibile rilevarle” ha chiarito Moda.

La malattia è studiata al Besta da tempo: dal 2016 sono emersi casi in Europa, concentrati in Scandinavia e identificati in renne, alci e cervi. Moda, insieme ai colleghi Cazzaniga e Bufano, sta studiando la diffusione del prione Cwd nei tessuti periferici dei cervidi e sulla potenziale trasmissione ad altri animali, specialmente agli ovini che condividono gli stessi habitat dei cervi malati.

I rischi delle malattie da prioni

Una delle ricerche più importanti condotte da Moda e Benestad riguarda l’individuazione di biomarcatori periferici (sangue e urina) per rilevare animali malati, anche in assenza di sintomi evidenti.

Il DNA presente nella saliva o nel sangue degli animali potrebbe essere trasmesso, infatti, da una specie all’altra. E se è vero che gli occhi sono puntati principalmente sugli ovini, è ben noto come i prioni siano collegati ad altre patologie che sono già passate all’uomo, come l’encefalopatia spongiforme bovina, nota dai più come “morbo della mucca pazza”.

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Fonte foto: ANSA

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