Il video di Alessia Pifferi in aula sulla morte della figlia Diana: "Non mi sgridi, pensavo bastasse biberon"
Alessia Pifferi ripercorre i giorni in cui sua figlia, Diana, è morta di stenti dopo essere stata lasciata da sola in casa per 6 giorni
“Le chiedo gentilmente di non sgridarmi. Io pensavo che il latte nel biberon che le avevo lasciato in casa bastasse“. Questa una delle tante dichiarazioni rilasciate da Alessia Pifferi davanti alla Corte d’Assise di Milano martedì 19 settembre. La donna, in carcere per l’omicidio della figlia Diana morta di stenti a 18 mesi, ha risposto alle accuse del pm Francesco De Tommasi.
- "La lasciavo sola con due biberon e l'acqua"
- Dove andava Alessia Pifferi quando lasciava la figlia da sola a casa
- Il ritorno a casa e la scoperta della morte
- "Mia figlia mi manca, non lo rifarei"
“La lasciavo sola con due biberon e l’acqua”
Diana è morta di stenti dopo essere stata abbandonata da sola a casa per 6 giorni.
Il racconto di Alessia Pifferi, imputata per omicidio volontario aggravato, è inquietante.
La donna ha confermato di aver lasciato sola la figlia “pochissime volte, non ricordo quante“, spiegando di andare via e di tornare l’indomani.
Un lasso di tempo comunque importante, visto che Diana è morta a soli 18 mesi: “Le lasciavo due biberon di latte, due bottigliette di acqua e una di ‘teuccio’. Ero preoccupata, avevo paura di molte cose, che riuscisse a bere il latte. Pensavo bastasse“.
Quando le è stato domandato come si comportasse solitamente con Diana, Pifferi ha risposto “la accudivo come una mamma accudisce normalmente un figlio. Le davo da mangiare, la lavavo e la cambiavo. Cose normali. Se stava male contattavo l’ospedale. La crescevo”.
Dove andava Alessia Pifferi quando lasciava la figlia da sola a casa
Come ha spiegato Alessia Pifferi, quando lasciava la figlia da sola andava in provincia di Bergamo dal compagno, col quale aveva da tempo una relazione “tira e molla“.
Pifferi ha aggiunto di non essere tornata a casa dalla figlia perché “avevo paura delle reazioni del mio compagno. Avevo paura di parlare con lui, era parecchio aggressivo nel verbale. Una volta ha anche cercato di sbattermi contro a un vetro in una discussione. Mi preoccupavo per mia figlia, ma al tempo stesso avevo paura di chiedergli di portarmi a casa”.
In altri passaggi del suo esame in aula, la donna ha spiegato più volte che per il compagno la bambina “era un intralcio. Diceva che le voleva bene, ma non era vero. Mi ha usata e basta“.
“Parlando con le psicologhe mi sono ricordata che il mio compagno mi diceva di lasciarla da sola in casa per andare a fare la spesa. Due o tre volte mi disse di lasciare la bimba a casa nel lettino per andare con lui al supermercato a Leffe. Qui cominciai a lasciarla”, ha proseguito.
Il ritorno a casa e la scoperta della morte
Alessia Pifferi ha ricordato anche il momento in cui è rientrata a casa, trovando la figlia ormai senza vita, nel suo lettino: “Sono andata subito da lei, non ricordo se la porta fosse aperta o chiusa. L’ho accarezzata, ma ho visto che non si muoveva e capii che qualcosa non andava: non era in piedi come le altre volte, non giocava“.
“Non era fredda la bambina – ha aggiunto rispondendo al pm -, tentai di rianimarla, le feci il massaggio cardiaco, la presi in braccio e le diedi qualche pacchetta sulla schiena. Provai a bagnarle le manine, i piedini e la testina per vedere se si riprendeva. La rimisi nel lettino e le spruzzai anche dell’acqua in bocca. Vidi che non si riprese e andai a chiamare la vicina di casa”.
“Mia figlia mi manca, non lo rifarei”
In aula, Alessia Pifferi ha anche dichiarato che “mi manca mia figlia, mi sento spenta, mi sento buia. Ero orgogliosa di mia figlia, non è mai stata un peso per me”.
Ora “vivo alla giornata, vivo malissimo. La mia bambina mi manca tantissimo. Il carcere non è di certo un bel posto. Se tornassi indietro non lo rifarei di sicuro. Sono pentita, non pensavo potesse succedere una cosa del genere, anche perché io non ho mai pensato di farla fuori. Ho capito che i bambini non si lasciano.