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POLITICA ESTERA

I ribelli Houthi nel Mar Rosso costringono l'Italia all'intervento: le conseguenze sulle altre missioni attive

L’intervista all’ammiraglio di Divisione Fabio Agostini, del Comando Operativo di Vertice Interforze, sulla missione italiana nel Mar Rosso contro gli Houthi

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Dopo il via libera anche da parte della Spagna, che aveva opposto qualche resistenza iniziale, la missione navale europea nel Mar Rosso inizierà ufficialmente il 19 febbraio. Si chiamerà Aspides e potrebbe avere il suo quartiere generale in Italia. Proprio il nostro Paese, infatti, ne è stato promotore insieme a Francia e Germania, e dovrebbe partecipare con due navi. Secondo il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, sarebbe un “dovere”. L’intervista all’ammiraglio di Divisione Fabio Agostini del Comando operativo di vertice interforze (Covi).

L’Italia dovrebbe mettere a disposizione due navi, in particolare l’Its Martinengo e Nave Fasan. Cosa può confermare a riguardo?

“I nomi delle navi lasciano il tempo che trovano, dipendono dagli impegni, dagli uomini e dai mezzi a disposizione delle Forze armate. Quello che è certo è che c’è una forte volontà italiana a contribuire alla stabilità e soprattutto alla sicurezza del traffico mercantile in quell’area. Stiamo leggendo le carte relative alla missione, in attesa che questa operazione europea abbia contorni più definiti, ma sicuramente avremo un ruolo molto attivo”.

In che contesto si inquadra questo intervento?

“Il contesto strategico attuale è caratterizzato da due elementi chiave: il primo è stata l’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022, che ha impattato sia sul sistema delle relazioni internazionali sia sul quadro economico-finanziario, che ha investito l’intero assetto mondiale in modi differenti. L’altro è stato l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023. Questo ha acutizzato la mai sopita crisi israelo-palestinese, avviando un’escalation, che è sotto gli occhi di tutti, nell’area mediorientale. Tutto ciò ha effetti diretti sull’Europa, ma anche sui contingenti militari nazionali schierati nella regione. Ora l’emergenza è dettata dagli attacchi dei ribelli Houthi al traffico commerciale, in particolare nel Mar Rosso e attraverso lo Stretto di Bāb el-Mandeb”.

Il territorio dei ribelli Houthi

Quali sono i timori relativi a questi attacchi e perché riguardano anche l’Italia?

“Questi traffici commerciali sono fondamentali anche per il nostro Paese: questa minaccia rischia di marginalizzare il Mediterraneo e avere pesanti effetti sulla nostra economia, ma anche sui prezzi dei prodotti che arrivano nelle case degli italiani”.

Ma che tipo di missione sarà? Alcuni azzardano l’uso della forza…

“Sarà assolutamente a difesa degli interessi nazionali, e del traffico mercantile italiano ed europeo. Per qualunque tipo di missione c’è bisogno di un passaggio parlamentare, ma non è nella storia, nella tradizione e nella volontà del nostro Paese contribuire ad azioni di tipo ‘aggressivo’, in particolare in questo momento”.

Qual è l’impegno complessivo dell’Italia nelle missioni estere, a cui si aggiunge quella nel Mar Rosso?

“Oggi siamo impegnati con circa 13 mila militari, dei quali 7.500 sono impegnati in 34 operazioni in 25 Paesi nel mondo. Di queste 26 sono sotto l’egida di organizzazioni internazionali di riferimento come Onu, Nato, Ue, mentre 8 sono basate su accordi bilaterali o specifiche coalizioni internazionali. Ci sono altri 5.500 militari in 3 operazioni nazionali: Strade sicure, la Difesa aerea nazionale e la Vigilanza pesca. Questo è un impegno molto importante che, attraverso il fianco est della Nato arriva fino al Mar Baltico, per poi al Medio Oriente e all’Africa, interessando appunto il Mar Rosso, il Corno d’Africa e il Golfo Persico, dunque quell’area che viene definita del Mediterraneo allargato”.

L’Italia è anche presente, storicamente, in Libano con due missioni: Unifil, sotto egida Onu, e Milib, che è bilaterale. Come potrebbe cambiare la presenza in quell’area così delicata?

“Il contingente militare italiano è il più consistente della missione Unifil e conta 1.100 tra uomini e donne. Agiscono come forza di interposizione in una zona di confine molto tesa, specie in questo momento. Finora, però, la missione non è mai stata oggetto di attacchi diretti. È chiaro che se la situazione dovesse peggiorare starà all’Onu verificare se sussistano ancora le condizioni di sicurezza per proseguire, anche se come Covi stiamo monitorando e siamo pronti ad attuare eventuali piani di contingenza. Quanto alla missione bilaterale Mibil, lo scopo è addestrare le forze armate libanesi e fornire assistenza alla popolazione civile, anche a livello sanitario”.

A proposito di aiuti sanitari, la Marina militare è già presente con nave Vulcano non lontano dal valico di Rafah, tra Egitto e Striscia di Gaza. Quali sono i compiti?

“Sta operando lì dal 3 dicembre, si trova nel porto egiziano di Al Arish. A bordo ci sono circa 40 tra medici delle Forze armate, della Fondazione Rava e provenienti da altri Paesi, anche arabi, che offrono cure mediche, interventi chirurgici complessi e anche supporto psicologico a personale civile rimasto ferito dello scontro nella Striscia di Gaza. Sono già state curate circa 70 persone, in gran parte minori. Poche settimane fa, inoltre, è venuta alla luce una bambina a bordo della nave, figlia di una donna palestinese di 26 anni che si trovava lì per le cure dell’altra figlia di 3 anni”.

Per quanto riguarda Gaza, cosa può dirci di un’eventuale presenza italiana in una missione di pace e interposizione, di cui ha parlato il ministro della Difesa, Guido Crosetto?

“Ai nostri militari italiani sono sempre stati riconosciuti una capacità di dialogo e di stringere rapporti con la popolazione locale nelle aree nelle quali siamo intervenuti, a prescindere dalle aree di riferimento e dal contesto di contorno. Ovunque interveniamo le nostre Forze armate sono molto apprezzate e accolte, per questo veniamo invitati molto spesso a partecipare a missioni di pace e interposizione. Non è quindi da escludere anche una presenza a una eventuale operazione di crisi che sia quella dove siamo già presenti, tra cui anche Gaza. È chiaro che dovranno essere specifiche condizioni, come un intervento sotto egida dell’Onu e un cessate il fuoco solido, e soprattutto questo appare ancora molto lontano”.

Fonte foto: ANSA

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