Francesco Schiavone detto Sandokan non ha un tumore: l'ex boss dei Casalesi aveva finto per cambiare carcere
Francesco Schiavone, ex boss dei Casalesi noto negli ambienti della camorra come Sandokan, avrebbe iniziato a collaborare, ma non avrebbe un tumore
Venerdì 29 marzo è stata la giornata in cui è stato reso noto il pentimento di Francesco Schiavone, l’ex boss dei Casalesi, detto Sandokan. Recentemente si era parlato anche di un tumore, ma in realtà si tratterebbe di una vera e propria invenzione, usata per giustificare il suo trasferimento dal carcere di Parma – dove era al 41bis – a quello dell’Aquila. Proprio lì, infatti, avrebbe iniziato a collaborare.
- Francesco Schiavone e le voci sul suo tumore
- Sandokan collabora, spiazzati i familiari
- I dubbi del poliziotto che arrestò l'ex boss dei Casalesi sul pentimento
- I dubbi di Roberto Saviano
Francesco Schiavone e le voci sul suo tumore
Come riportato dall’Ansa, Francesco Schiavone avrebbe deciso di collaborare e avrebbe iniziato a farlo non nel carcere di Parma, dove era detenuto al 41bis, ma in quello a L’Aquila.
Non un carcere come un altro: quello abruzzese, come testimonia la recente storia di Matteo Messina Denaro, è attrezzato per curare e seguire i malati di cancro.
Nel caso di Sandokan, però, il tumore sarebbe stato solo un espediente per giustificare il trasferimento, e quindi la collaborazione.
In sostanza, c’erano state delle avvisaglie di una presunta neoplasia, ma gli esami hanno smentito ogni patologia.
Nonostante questo, la voce su uno Schiavone gravemente malato non è stata smentita e, adesso, l’ex boss dei Casalesi – dopo 26 anni – starebbe collaborando con gli inquirenti.
Sandokan collabora, spiazzati i familiari
Parte dei suoi stretti familiari, sempre secondo le fonti dell’Ansa, sarebbero rimasti spiazzati dalla decisione di Sandokan di collaborare.
Alcuni di loro si sarebbero rifiutati di abbandonare le loro abitazioni per essere trasferiti in una località protetta.
I dubbi del poliziotto che arrestò l’ex boss dei Casalesi sul pentimento
Nel frattempo, intervistato da LaPresse, Sergio Sellitto, oggi dirigente dell’Interporto Campano ma che negli anni ’90 da vicequestore della Polizia di Stato in servizio alla Direzione investigativa antimafia guidò la squadra Yanez che arrestò Schiavone l’11 luglio 1998 a Casal di Principe, ha espresso dei dubbi sulla collaborazione di Sandokan.
Ecco le sue parole:
“Il pentimento di Schiavone? Dopo 26 anni di carcere l’ho trovato molto strano, mi chiedo quale sia il contributo che potrebbe dare. Di sicuro potrebbe svelare il mistero dell’omicidio di Antonio Bardellino, mai risolto”.
I dubbi di Roberto Saviano
Ha espresso i suoi dubbi anche Roberto Saviano, su Instagram:
“Schiavone è il capo del clan dei Casalesi (insieme a Bidognetti) e ha deciso di collaborare con la giustizia. Sarà davvero così? Collaborerà dando informazioni importanti o farà come il figlio e la moglie (e altri ex capi) che ad oggi hanno detto molto poco? Conscio della debolezza dello Stato alla ricerca solo di poter comunicare un pentimento, gli basterà dare qualche prova di omicidio, qualche tangente ed evitarsi l’ergastolo? Riuscirà a farlo senza svelare dove si trovano i soldi della camorra e senza dimostrare i legami politici imprenditoriali reali? Lo scopriremo monitorando e analizzando quello che accadrà”.