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Cos’è il morbo di Crohn: sintomi, diagnosi, terapia della malattia che colpisce l’intestino

Il morbo di Crohn è un’infiammazione cronica che può colpire l'intestino, ma soprattutto il tratto finale e il colon. Come riconoscerla e come curarla

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

La malattia di Crohn consiste in una infiammazione cronica dell’intestino e in particolare delle pareti di questo organo. Può interessare tutto il tratto gastrointestinale quindi dalla bocca all’ano, anche se nella maggior parte dei casi interessa l’ileo, cioè l’ultima parte dell’intestino tenue, e il colon. La malattia, il cui nome deriva dal Burrill Bernard Crohn che è stato il medico che per primo ne ha descritto i sintomi e le caratteristiche, è cronica, ossia non guarisce mai del tutto: alterna, piuttosto, delle fasi di remissione ad altre di riacutizzazione. Gli esperti la conoscono dai primi anni ’30, ma solo di recente che sono aumentate le terapie a disposizione. A spiegare a Virgilio Notizie come riconoscerla e come intervenire è il professor Luca Piretta, gastroenterologo dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

Perché il morbo di Crohn non è considerato una malattia rara

La malattia di Crohn colpisce tra le 400 mila le 600 milapersone nel Nord America, mentre in Italia si stima che circa 150 mila persone soffrano di malattie infiammatorie intestinali, delle quali probabilmente 30-40% è costituito da morbo di Crohn o Malattia di Crohn (Crohn’s disease – CD). È considerata una malattia rara, ma soprattutto molto invalidante.

Perché? “Intanto va chiarito che è considerata rara perché non è così diffusa, ma non è neppure rara, tanto è vero che ci sono anche ambulatori specifici all’interno di centri di riferimento, che si occupano solo del morbo di Crohn. Un esempio è la struttura all’interno dell’ospedale Umberto I a Roma – chiarisce Piretta a Virgilio Notizie – Può essere molto invalidante e va tenuto presente che il range di sintomatologia è molto vario: si va da chi ha sintomi molto scarsi fino a coloro che necessitano di uno o più interventi chirurgici, con asportazioni di intere sezioni intestinali”.

Quali sono i sintomi

“I sintomi più caratteristici e classici sono episodi di dolore addominale e diarrea ripetuti nel tempo, ai quali si alternano periodi di benessere, che corrispondono a fasi di remissione della malattia, alle quali seguono altre di riacutizzazione. Per questo si parla di malattia infiammatoria cronica, perché di fatto non c’è una guarigione definitiva” spiega il gastroenterologo.

“Purtroppo col tempo possono sorgere complicanze, come l’occlusione intestinale, che necessita di intervento chirurgico. Il problema è che anche un’operazione può non essere curativa della malattia: a volte togliere la parte di intestino interessata dalla grave infiammazione o dall’occlusione può non risolvere la problematica o può anche essere pericolosa in caso di formazione di aderenze o fistole. Per questo si cerca di evitare, se proprio non c’è alternativa” aggiunge Piretta.

Quali sono le cause: dalla genetica ai fattori ambientali alla base della malattia intestinale

Al momento non si conoscono le cause specifiche del morbo di Crohn, anche se si ritiene che ci sia alla base una predisposizione genetica, unita a fattori ambientali.

“Il motivo scatenante non è noto, anche se ormai sappiamo che si tratta di una sorta di malattia autoimmune data dalla risposta eccessiva del sistema immunitario che porta a infiammazione cronica. Ciò che si è visto anche da studi recenti è che è più frequente nei Paesi più sviluppati: qualcuno lo ha messo in relazione al maggior consumo di cibi ultraprocessati, ma il nesso causale non è accertato. Si è visto anche che quando persone che provengono da Paesi con una bassa frequenza della malattia si stabilizzano in altri dove l’alimentazione prevede un minor consumo di cibi poco raffinati ed elaborati, i discendenti nell’arco di un paio di generazioni acquisiscono lo stesso rischio della popolazione autoctona, a riprova che il fattore ambientale è determinante” spiega Piretta.

La diagnosi: quali esami fare per individuare il morbo di Crohn

Dal momento che la malattia incide in modo significativo sulla qualità della vita a livello personale, sociale e lavorativo dei pazienti, diventa fondamentale una diagnosi quanto prima precoce. Eppure si stimano ritardi dai 6 mesi ai 5 anni nell’individuazione. “In genere si procede con un’anamnesi generale della condizione del paziente e della famiglia, poi possono essere prescritti esami specifici, come quello delle feci e del sangue, la gastroscopia ed endoscopia, ecc. a seconda del tratto intestinale interessato dall’infiammazione”, chiarisce l’esperto.

Le manifestazioni extra-intestinali: dalla pelle ai dolori articolari

Il morbo di Crohn può caratterizzato anche da manifestazioni infiammatorie extra-intestinali, ossia lesioni in organi diversi dall’intestino, come cute, occhi e articolazioni. Spesso, infatti, non si manifesta solo a livello superiore della parete intestinale, ma può estendersi anche in profondità, sotto la mucosa, causando ulcere che possono raggiungere anche altri organi esterni all’intestino.

“Sono possibili anche sintomatologie cutanee, quindi lesioni sulla pelle, o articolari come dolori alla schiena o alla cervicale, che rientrano nel quadro clinico tipico della malattia. Ma possono esserci anche afte in bocca, quando il tratto interessato è appunto quello superiore e iniziale dell’apparato digerente- spiega ancora Piretta – oppure può verificarsi febbre. Nelle fasi di riacutizzazione, con diarrea cronica, può comportare un malassorbimento: non funzionando quel tratto dell’intestino, non si assorbono i nutrienti e quindi si può andare incontro a perdita di peso”.

Le terapie: come si cura il morbo di Crohn

“Come detto, guarire dal morbo di Crohn non è possibile, mentre si può arrivare a una remissione. In questo senso esistono terapie che servono proprio a mantenere il più a lungo possibile la remissione della malattia. Si tratta soprattutto di antinfiammatori mirati, come la mesalazina, proprio per i problemi intestinali. Se questi non sono sufficienti, allora si passa al cortisone, che è un antinfiammatorio più potente, da usare eventualmente nelle fasi acute, dosato in modo armonico a seconda dell’intensità dei sintomi – spiega il gastroenterologo – qualche tempo fa si è anche provata la ciclosporina, che è un immunosoppressore, proprio allo scopo di limitare la risposta del sistema immunitario quando eccessiva, così come gli anticorpi monoclonali, che sono in uso da 20 anni. Ma siamo a un livello di terapia più elevato per coloro sui quali le terapie normali non rispondono”.

 

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Fonte foto: 123RF

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