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"Non sottovalutiamo il vaiolo delle scimmie". L'allarme di Bassetti su sintomi e letalità del virus

Dopo i primi casi di vaiolo delle scimmie in Italia, Matteo Bassetti lancia l'allarme: "Batteri e virus possono diventare incontrollati”

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Neppure il tempo di esprimere la propria apprensione sui social che è arrivato il primo caso italiano di vaiolo delle scimmie, seguito subito da altri collegati al paziente zero. Matteo Bassetti, infettivologo dell’ospedale San Martino di Genova, ne aveva scritto poche ore prima, sul proprio account Instagram: “Lo abbiamo visto con la pandemia da Covid: le malattie infettive non devono essere sottovalutate. Ora seguiamo la situazione dei contagi da vaiolo delle scimmie, che è arrivato in Europa. Speriamo di non dover fare i conti con nuovi focolai”. Virgilio Notizie lo ha raggiunto per un’intervista.

I casi di vaiolo delle scimmie in Europa: perché occorre monitorare

“Finita l’emergenza del Covid, ecco un’altra infezione che mai si era vista trasmessa da uomo a uomo nel nostro continente. Si tratta del vaiolo delle scimmie, sono già stati segnalate decine di casi in Europa”. Così Matteo Bassetti in un post su Instagram, pubblicato appena prima della notizia del primo caso di vaiolo delle scimmie in Italia.

Un post che però è stato seguito da centinaia di commenti, alcuni anche molto critici: “Sono rimasto molto colpito – spiega ai microfoni di Virgilio Notizie -, sembra che le persone non vogliano sapere e quindi attaccano pensando che ci siano interessi a lanciare allarmi, ma non è così. È come se non si dovesse scrivere sui pacchetti di sigarette che il fumo fa male o come se non dovessimo esortare le donne a fare prevenzione sottoponendosi a mammografia. Nello stesso modo, se arriva un virus che non era presente, occorre vigilare attentamente e monitorare”.

Dai sintomi sospetti alla malattia: cosa sappiamo del vaiolo delle scimmie

Ad annunciare l’isolamento del ‘paziente zero‘, il primo con infezione da vaiolo delle scimmie nel Regno Unito, è stata l’Agenzia per la sicurezza sanitaria britannica, spiegando che si tratta di un uomo tornato recentemente dalla Nigeria, in Africa.

Pur precisando che non è scattato un allarme, è scattata l’attività di contact tracing per tutti i suoi contatti recenti, che abbiano sintomi compatibili con la malattia. Poi è arrivato il primo caso italiano, identificato all’Istituto Spallanzani di Roma.

Si tratta di un uomo rientrato dopo un soggiorno alle Isole Canarie che si è presentato al pronto soccorso dell’Umberto I, aveva sintomi compatibili con la malattia: “Si tratta di febbre e dolori muscolari, soprattutto mal di schiena, che possono essere accompagnati da mal di testa, spossatezza e soprattutto pustole, in particolare su viso e mani, che assomigliano a quelle di varicella o sifilide. In caso di comparsa di questi campanelli d’allarme occorre rivolgersi al medico” spiega l’esperto.

bassetti vaiolo scimmieFonte foto: ANSA
Matteo Bassetti, infettivologo dell’ospedale San Martino di Genova

Un virus poco letale, ma molto contagioso: perché non va sottovalutato

Ma quanto è letale questo virus? Secondo Bassetti “pone importanti interrogativi soprattutto dal punto di vista del controllo infettivo. Ad oggi sappiamo che la letalità della malattia trasmessa dalle scimmie è all’incirca del 10%, era del 30% nella forma da uomo a uomo in passato, ma non conosciamo la diffusività tra umani: potrebbe essere inferiore o anche nulla.

“Ma c’è da capire – chiarisce l’infettivologo – cosa potrebbe succedere adesso con il salto di specie da animale a uomo. Potrebbe essere che cambi il genoma virale, dunque che ci siano mutazioni del virus nel passaggio da un individuo all’altro, o che diventi più contagioso. Questo potrebbe rappresentare un problema, magari per la popolazione più anziana, come accaduto col Covid”.

Il rischio di focolai, le cure e gli interrogativi sui vaccini

Ma esistono cure? “No, non c’è una cura specifica. A rincuorare è il fatto che la letalità del vaiolo delle scimmie è bassa, pari a circa il 10% – spiega Bassetti –: oggi, però, occorre prevenire rapidamente, che significa spegnere sul nascere il focolaio esistente, con tutti gli strumenti e quando dico con tutti intendo che non va esclusa alcuna ipotesi”.

Il riferimento è anche al fatto che in passato ci si vaccinava contro il vaiolo: “Oggi non conosciamo l’età dei pazienti infettati dal vaiolo delle scimmie, ma sappiamo che fino al 1974 ci si vaccinava contro questa malattia. Quindi può essere che si tratti di soggetti giovani non immunizzati. Occorre anche verificare se eventualmente il vaccino che si usava sia efficace anche contro la forma trasmessa dalle scimmie“.

“Da 40 anni, infatti, si è smesso di vaccinare perché il vaiolo era considerato debellato. Io ho fatto in tempo a essere vaccinato e ho il classico segno sul braccio – conclude -. Si dovrà capire cosa accadrà: se la malattia dovesse diffondersi maggiormente e uscire dalla comunità ristretta dalla quale sembra provenire – si parla di rapporti sessuali ravvicinati e prolungati tra uomini -, occorrerà fare valutazioni”.

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