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POLITICA ESTERA

Che fine farà l'Ucraina in guerra con la Russia dopo l'esplosione del conflitto Israele-Hamas in Medio Oriente

Con i riflettori sul Medio Oriente per la guerra Israele-Hamas la Russia può riposizionarsi e stringere la morsa sull’Ucraina: l'intervista a Bressan

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Le attenzioni dell’opinione pubblica e dei leader mondiali sono state distolte, negli ultimi giorni, dalla guerra tra Ucraina e Russia. Dal 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas a Israele, sembrano quasi essersi spenti i riflettori sugli sviluppi di un conflitto in corso da oltre due anni. Eppure, il nuovo fronte rischia di avere ripercussioni anche sul terreno di battaglia tra Kiev e Mosca. Sia a livello diplomatico, complice anche la campagna elettorale per le elezioni presidenziali Usa, sia per l’appoggio militare che finora è stato garantito a Volodymyr Zelensky nello scontro con Vladimir Putin. Intanto, non mancano novità sul campo, come conferma a Virgilio Notizie Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali e Studi Strategici della Lumsa Master School: l’intervista.

L’intervista a Matteo Bressan

Secondo Matteo Bressan, la novità principale relativa alla guerra tra Ucraina e Russia riguarda il fatto che l’esercito di Kiev ha impiegato i missili Atacms, che colpiscono più in profondità.

L’esperto ricorda che “si tratta dell’ultima dotazione fornita dagli Usa, che nell’immediato sembra aver colto di sorpresa le difese russe. Se questi missili continueranno a essere impiegati, le forze di Mosca dovranno allontanarsi dagli aeroporti nei quali si trovano al momento e posizionarsi più lontano dalla linea del fronte”.

Vladimir Putin, presidente della Russia

Quali potrebbero essere le conseguenze nel breve e nel lungo periodo?

“Potrebbe aiutare la controffensiva. L’impiego di questi missili è un elemento centrale nella politica degli aiuti all’Ucraina, in prospettiva di una controffensiva di cui si è parlato a lungo. Ad oggi, indubbiamente, non ha ancora soddisfatto le grandi aspettative che vi erano riposte, talvolta in modo un po’ semplicistico. Ma questo non vuole dire che la controffensiva non stia funzionando”.

Qual è la situazione al momento?

“Oltre agli effetti dei nuovi missili va notato che da qualche settimana, sul fronte del Mar Nero, l’Ucraina riesce a far partire i mercantili, anche in virtù degli attacchi importanti condotti in Crimea, nella base navale di Sebastopoli, che pure in questo caso hanno obbligato la Russia ad allontanare le navi dalla Crimea stessa, riposizionando la propria flotta. La controffensiva, quindi, non è misurabile solo a terra e non è solo misurabile in termini di territorio riconquistato”.

Nel frattempo si avvicina l’inverno: cosa potrebbe accadere?

“Sicuramente l’arrivo della stagione più fredda peserà, ma a livello politico lo farà anche l’avvicinamento delle elezioni negli Stati Uniti. Questo lasso di tempo inciderà sulla volontà americana di proseguire negli aiuti militari all’Ucraina. Occorrerà anche capire se poi ci sarà una conferma dell’amministrazione Biden o se ci sarà un cambio, con un eventuale nuovo approccio al conflitto”.

Intanto gli arsenali si stanno svuotando e anche il peso economico del sostegno militare o umanitario inizia a farsi sentire, come dimostrato da diverse dichiarazioni delle Cancellerie mondiali: cosa può succedere?

Non è pensabile proseguire nel sostegno all’Ucraina senza gli Stati Uniti. Non bisogna ripetere l’errore di valutazione commesso in Afghanistan, dove per un certo periodo si è ipotizzato che gli europei potessero rimanere, quando invece ci si è ritrovati con l’Afghanistan abbandonato. Dobbiamo essere consapevoli che con una diminuzione dell’impegno americano, in termini economici e di armamenti, si porrebbe un problema reale. Non ci sono alternative perché l’industria della difesa europea non è in grado di sostenere non solo le scorte, ma il munizionamento stesso a questo tipo di conflitto”.

Spostando le attenzioni sulla Russia, ha sorpreso l’annuncio su di una possibile pace sul fronte ucraino da parte del presidente Vladimir Putin. Perché ora e, soprattutto, è credibile?

“Io sarei molto cauto nell’utilizzo dell’espressione ‘pace’. Prima occorre un cessate il fuoco, capendo poi come eventualmente affrontare le questioni politico-territoriali. Per parlare di pace è necessario mettere sul tavolo idee concrete e traducibili in azioni, per esempio, ipotizzando una riconciliazione tra Ucraina e Russia. Io oggi non lo vedo ancora possibile”.

Mosca potrebbe in qualche modo avvantaggiarsi dal conflitto tra Israele e Hamas per un riposizionamento sul campo o una riabilitazione a livello mondiale?

“La guerra in corso tra Israele e Hamas può rappresentare un’opportunità per la Russia, come lo è ogni crisi: può esserlo a livello negoziale o per portare il proprio punto di vista in sede Onu, o in termini di rapporti con altri Paesi, ovviamente più vicini alle posizioni russe. Detto questo, però, se si guarda nel complesso il conflitto in Medio Oriente, occorre osservare anche la posizione statunitense”.

Qual è al momento il ruolo statunitense, come si sta posizionando Washington nella macro area compresa tra il Medio Oriente e il Mar Nero?

“Saranno due le portaerei americane posizionate di fronte alle coste di Israele e del Libano. È indubbio, quindi, che c’è un impegno Usa importante in termini di deterrenza nei confronti di altri attori che volessero in qualche modo sfruttare il conflitto tra Israele e Hamas a proprio vantaggio. In sostanza gli Stati Uniti aumentano la propria presenza militare nel Mediterraneo. Proprio dal punto di vista politico, va sottolineato che l’America è impegnata complessivamente su tre dossier: quello ucraino, quello mediorientale e quello nell’Indo-pacifico. Sono tre impegni diversi tra loro per intensità, postura e rapporti con i rispettivi interlocutori: avranno un peso sulle elezioni. Oggi non si può quantificare, ma avranno delle conseguenze”.

Chi è Matteo Bressan

Matteo Bressan è analista e componente del Comitato Scientifico del Nato Defense College Foundation.

Oltre a essere coordinatore didattico e insegnante del corso sul terrorismo della SIOI, è docente a contratto di Relazioni internazionali e studi strategici presso la Lumsa e di Analisi strategica presso la Link Campus University.

Ha svolto attività di docenza presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI), la Scuola Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri e presso l’Università Unicusano.

Ha scritto diversi libri tra cui I Balcani occidentali al bivio – La NATO, KFOR e il ruolo dell’Italia (SMD 2018) ed Hezbollah – Tra integrazione politica e lotta armata (Datanews 2013).

Le ultime sulla guerra in Ucraina

Attraverso il nostro speciale è possibile seguire tutti gli aggiornamenti sulla guerra Ucraina-Russia.

Fonte foto: Matteo Bressan / ANSA

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