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Cecilia Sala racconta il carcere in Iran: "Ho pianto quando ho visto il cielo. Non posso ancora dire tutto"

Cecilia Sala racconta i suoi 21 giorni nel carcere di Evin, in Iran, dall'arresto agli interrogatori, dalle lacrime alla gioia per la liberazione

Pubblicato:

Simone Vazzana

GIORNALISTA

Giornalista professionista, è caporedattore di Virgilio Notizie. Ha lavorato per importanti testate e tv nazionali. Scrive di attualità, soprattutto di Politica, Esteri, Economia e Cronaca. Si occupa anche di data journalism e fact-checking.

Una puntata lunga 32 minuti. Insieme a Mario Calabresi, direttore di Chora Media, Cecilia Sala ha voluto raccontare l’esperienza del carcere di Evin in Iran, lunga 21 giorni, dall’arresto in un albergo di Teheran alla liberazione, culminata nel rientro in Italia. Lo ha fatto nel suo podcast, Stories, precisando comunque che “c’è un’indagine in corso” e che “ci sono tante cose che non posso dire in questo momento”.

Il rientro in Italia

La puntata di Stories si apre con il ritorno alla normalità, un misto di stanchezza ed eccitazione:

“Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare, devo riposare, questa notte non ho dormito per l’eccitazione e la gioia. Quella precedente per l’angoscia, sto bene, sono molto contenta”

L’arresto in Iran e l’isolamento

Cecilia Sala sostiene anche che:

Non mi è stato spiegato perché io sia finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin. Questa storia comincia col fatto che l’Iran è il Paese nel quale più volevo tornare, dove ci sono le persone a cui più mi sono affezionata. Si cerca di avere uno scudo dalla sofferenza degli altri, che accumuli, e qualche volta delle persone che incontri, delle fonti, bucano questo scudo e diventano amici, persone che vuoi sapere come stanno. In Iran mi è successo più che in qualunque altro posto. Ci tenevo a tornare, è difficile ottenere un visto per l’Iran, ero felice di averlo ottenuto”.

Cecilia Sala e l’abbraccio col fidanzato, Daniele Raineri, sulla pista di Ciampino

“Sono riuscita a ridere due volte”

La giornalista parla poi del fatto che sia riuscita a ridere “due volte” nonostante fosse in carcere:

“Ho trovato miracoloso che l’intervista fatta il giorno prima di essere arrestata fosse a Zeinab Musavi, una persona a cui ho voluto bene per anni da lontano, come racconto nella puntata su di lei, e che proprio il giorno prima avessimo parlato di come si sta in una cella di isolamento. Lei è una stand-up comedian, mi aveva raccontato che era riuscita a ridere persino lì, perché le erano venute in mente delle battute persino lì dentro. Pensare a lei, alla sua forza, è stato di grande aiuto nei giorni successivi (…). Ho riso due volte: la prima volta che ho visto il cielo e poi quando c’era un uccellino che faceva un verso buffo. Il silenzio è un altro nemico in quel contesto (…). La prima volta che ho visto il cielo, per quanto in un piccolo cortile di un carcere con telecamere e filo spinato, mi sono sentita bene e mi sono concentrata su quell’attimo di gioia. Ho pianto di gioia, ho riso di gioia, ho cercato di pensare ‘potrei tornarci oggi, potrebbero portarmi di nuovo in cortile oggi pomeriggio’, per darmi una meta, qualcosa a cui pensare e con cui provare a scandire le ore e il tempo”.

L’isolamento, il silenzio e gli ingredienti del pane

Parla poi della cosa più difficile che ha dovuto superare:

“La tua testa. A un certo punto mi sono ritrovata a passare il tempo a contare i giorni, a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti del pane, che era l’unica cosa in inglese. Non ho mai pensato… ho fatto previsioni anche negative su quello che sarebbe potuto essere il mio destino lì dentro, ma non ho mai pensato che sarei stata liberata così presto. E la tua testa, quando non hai nulla da fare non ti stanchi, non hai sonno, non dormi… lì dentro un’ora sembra una settimana, se non dormi e devi riempirne 24 ore di ore è più faticoso… la cosa che più volevo era un libro, la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori, un’altra storia in cui potessi immergermi e che non fosse la mia in quel momento, perché non riuscivo ad avere tanti pensieri positivi rispetto alle mie prospettive”.

Gli occhiali sequestrati

Cecilia Sala spiega di non poter raccontare tutto perché “c’è un’indagine in corso”, ma è tornata sul dettaglio degli occhiali, rimbalzato sulla stampa italiana:

“Io senza le lenti e gli occhiali non vedo, e gli occhiali non me li hanno mai dati fino agli ultimi giorni, perché sono pericolosi: puoi spaccare il vetro e usarli per tagliarti. Non ho potuto scrivere, non ho potuto avere una biro per lo stesso motivo, perché si può trasformare in un’arma. Però non mi hanno dato nemmeno le lenti a contatto. Io ho chiesto il Corano in inglese perché pensavo fosse l’unico libro in inglese che potessero avere dentro una prigione di massima sicurezza della Repubblica islamica e non mi è stato dato per molti giorni. Ho detto che andava bene stare senza gli occhiali, potevo mettermi il libro molto molto vicino agli occhi, e però per tanti giorni non è stato possibile”.

Niente letto, Cecilia Sala dormiva per terra

Sull’assenza del letto:

“Io avevo coperte, non avevo cuscini o materassi. La mia fortuna è che considero la cucina persiana favolosa. Ovviamente in carcere non è come fuori. Mangiavo tanto riso, c’erano lenticchie, carne. Il problema non è stato mangiare, è stato dormire”.

Il momento dell’arresto in albergo

“Stavo lavorando alla puntata di quel giorno, che non è mai uscita. Mi hanno bussato alla porta, pensavo che fosse personale delle pulizie. Ho detto che non avevo bisogno di nulla e che stavo lavorando, e però sono stati insistenti. Ho aperto e mi hanno portato via. In quel momento speravo che potesse essere una cosa rapida, prima di portarmi dove sono stata per 21 giorni mi hanno portato in un altro posto, e lì ho capito dalle prime domande che non sarebbe stata una cosa breve (…). Ho capito che ero a Evin perché conosco quel carcere, non c’ero mai stata ma conosco come è fatto, quanto è grande, dov’è. Ho capito dal percorso fatto in auto che ero dentro la città, in un carcere grande. E poteva essere soltanto quello. Avevo letto poco prima che c’era stato un arresto in Italia, ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo. Che potrebbe esserci l’intenzione di usarmi, ho pensato dal principio: ho preso in considerazione anche altre ipotesi, ma avevo chiara questa. Pensavo che fosse uno scambio molto difficile“.

Poi, tra le lacrime, parla delle altre persone in carcere:

“Immaginavo che sarei rimasta lì molto, ci sono persone che sono lì da moltissimo tempo e per me gli esempi erano loro, e ovviamente penso a loro moltissimo e pensavo a loro anche prima di ritrovarmi in questa situazione. Ci penso di più adesso, uno dei momenti più complicati perché negli ultimi giorni mi hanno dato un libro e gli occhiali, è arrivata un’altra donna nella stanza… la prima volta che mi hanno detto che sarei stata liberata non ci ho creduto, pensavo che fosse un trucco. Poi ho cominciato a pensare, prima ancora di gioire e di provare altre emozioni confuse, la scena in cui l’avrei detto a lei, al momento in cui me ne sarei andata e lei sarebbe rimasta lì, al fatto che lei sarebbe restata di nuovo sola come ero stata io per tanti giorni, ed era stata la condizioni più difficile da reggere. Credo che ci sia un po’ di senso di colpa dei fortunati, nella condizione in cui mi trovo adesso: sono stata molto fortunata, o forse siete stati molto bravi voi, tutti. Daniele (Raineri, ndr), i miei genitori, te (Mario Calabresi, ndr), le persone con cui lavoro e per cui lavoro, il Governo, la diplomazia, i servizi di sicurezza. Le condizioni erano veramente complicate, alcune le avevo intuite e altre no, ma era davvero difficile tirarmi fuori in 21 giorni date le circostanze. E nella mia gioia gigantesca… io questa notte non ho dormito perché volevo stare all’aperto, aprire la finestra, sentire la musica, non ho dormito di gioia ed eccitazione, non di angoscia come le notti precedenti… ma il senso di colpa dei fortunati lo sento un po’ in questo momento, per questo sono grata alle persone che di mestiere, lavorando in organizzazioni molto diverse, si prendono cura delle persone che sono nelle condizioni in cui ero io, che sono tante e tante sono sottoposte a quel trattamento per tempi molto più lunghi, in alcuni casi senza scadenza”.

Sulla compagna di cella:

“Lei non parlava molto l’inglese, io parlo poco il farsi. Però sì, qualcosa riuscivamo a comunicare a gesti, coccole, abbracci, risate nel caso dell’uccellino. C’era una piccola finestra in alto che ci permetteva di capire per qualche ora del giorno che ora fosse, e abbiamo dato un nome, Hannah, al riflesso. Abbiamo dei giochi semplici per tenerci allegre, impegnate. Le ho insegnato qualche parola in inglese in più, lei qualcuna in farsi, di persiano in più. E l’abbraccio con lei è stato molto potente prima di andare via. Lei mi ha detto che era lì perché contro la Repubblica islamica“.

Prima di tornare in Iran era consapevole del rischio di poter essere arrestata:

“Mi sono rimproverata molto una volta dentro. Ho chiesto consigli a tantissime persone che vengono da lì e non possono tornare in Iran, avevo chiesto consiglio prima di partire per interpretare il mio visto, ma il nuovo Governo aveva aperto ai giornalisti stranieri, era andata la Cnn a Teheran, non capita tutti i giorni. C’erano buone possibilità che io facessi parte dei visti dati per questa piccola apertura nei confronti dei giornalisti occidentali rispetto ai due anni precedenti (…). Me l’hanno detto anche persone esperte, di cui mi fido, e magari era anche vero, poi qualcosa è cambiato. (Se non fosse stato arrestato Abedini) forse sarei tornata a casa”.

Gli interrogatori ogni giorno

Cecilia Sala aggiunge di essere stata interrogata quasi tutti i giorno:

“Mi interrogavano quasi tutti i giorni. Per le prime due settimane tutti i giorni. Mi chiedevano qualcosa che volevano veramente sapere o che servisse soltanto a confondermi. Io ho preso in considerazione di essere accusata di reati come ad esempio quello di pubblicità contro la Repubblica islamica, reato contestato alla giornalista Niloofar Hamedi, che diede la notizia di Mahsa Amini, nel 2022. Ho preso in considerazione di essere accusata anche di cose molto più gravi. Quando ho chiesto mi hanno detto che ero accusata di tanteazioniillecite compiute in tanti luoghi diversi”.

Sulla paura per la propria vita:

“Non è stata minacciata la mia incolumità fisicamente, ma ho avuto paura per la mia vita. Cerco di non farmi delle illusioni che non aiutano nella situazione in cui ero. Non mi sarei mai aspettata di uscire dopo 21 giorni. Quando hai paura di essere accusata di qualcosa di molto grave in un Paese dove ci sono punizioni definitive…hai paura anche di quello, te lo sogni, sei poco lucido, ti fidi poco della tua memoria se non dormi”.

La liberazione

Cecilia Sala racconta come ha saputo che sarebbe stata liberata:

Me l’ha detto la guardia con cui avevo un rapporto. Difficile, di poche parole, ma che mi parlava. Lì per lì non ci ho creduto: è successo alle 9 di mattina del giorno in cui sono stata liberata. Ci sono vari passaggi dentro, ma dal carcere sono andata direttamente all’aeroporto. Non avrei passato lì un secondo di più una volta uscita dal carcere”.

Il primo italiano visto dopo la liberazione:

“Un uomo, con un abito grigio, clamorosamente italiano nei modi, nel volto. L’ho visto all’aeroporto. Il primo volto l’ho visto lì (…). Davo un valore grandissimo ai momenti in cui potevo guardare fuori, allungare lo sguardo, guardare l’orizzonte, essere in un posto luminoso di una luce naturale e non al neon. Mi sono detto ‘goditi quello che stai vedendo fuori dal finestrino a prescindere se ti stiano portando da un’altra parte, che ti stiano liberado davvero’. E l’ho fatto, ed è stato bellissimo (…). Mi sono goduta quel viaggio in auto, bellissimo, sarebbe stato bellissimo anche se fossi finita in una caserma dopo (…). In cortile vedevo solo il cielo, non vedevo esseri umani, non vedi movimento. Anche in cortile ero in isolamento. Ho anche pensato, durante quel viaggio in macchina, ‘guarda questo posto a cui tieni, che ti interessa ed è pieno di persone a cui vuoi bene, perché se davvero sei libera forse è l’ultima volta che lo vedrai’…”.

Il rapporto con l’Iran

La frase sull’Iran e sulle persone che sono di lì:

Io continuo ad amare l’Iran, non è cambiato niente in questo. Amo le donne iraniane che indossano fieramente il loro velo, ma non per questo vogliono che esista qualcuno che punisce, intimidisce le ragazze che non lo fanno e che non lo vogliono fare. Amo l’Iran nella sua complessità, amo i miei amici, le ragazze, non è cambiata la mia comprensione del Paese, la mia affezione, è aumentata la nostalgia ora che sono qui, al sicuro, che posso guardare il cielo ogni volta che voglio. La nostalgia per quelle persone, ho avuto paura di averle ferite, di essere contagiosa, di essere diventata pericolosa. Questo mi ha fatto soffrire tanto, oltre a tutto il resto (…). Chi conosce il mio lavoro, tantissime giustamente non lo conoscono, ma chi lo conosce sa già tutto, è tutto pubblico quello che ho fatto da lì, le persone che ho raccontato da lontano quando non potevo… ritornando ho scoperto che erano tutti preoccupati per me, anche se io ho alle spalle tantissime persone che mi hanno protetta, tirata fuori e salvata. E loro no, e sono lì. Sono molto generosi“.

“Mi è mancato Daniele”

Infine, Cecilia Sala che la persona che gli è mancata di più quando stava lì è Daniele Raineri, fidanzato e collega del Post:

“Sa mettere insieme i miei pezzi in tutte le situazioni, anche adesso. Mi è mancato Daniele e un libro, finché non l’ho avuto. Ne ho avuto uno di Murakami, Kafka on the shore. Ho pensato ‘caspita Kafka, non il massimo in una cella di isolamento’… un libro triste, pieno di sesso, che non mi sarei mai aspettata di ricevere da una prigione della Repubblica islamica dell’Iran. Mi ha veramente salvato leggere nei giorni in cui l’ho potuto fare e quando ho potuto chiamare Daniele gli ho chiesto di prenderlo anche lui. So che non sarebbe il suo libro preferito, perché ci capitasse di essere nello stesso posto con la testa, anche se non potevamo esserlo con i corpi. E perché pensavo che saremmo stati lontani molto più a lungo”.

“La cosa che mi sono detta il primo giorno è che non avrei mai più passato una giornata intera in una stanza, al computer, in cui non sarei stata all’aria aperta almeno per un po’. E avevo molta voglia di andare al mare, anche se fa freddo. E poi c’è questa cosa che è il privilegio che noi abbiamo, noi che abbiamo una casa sicura in un Paese sicuro… possiamo andarcene, possiamo scegliere, possiamo tornare a casa. E invece le persone che sono lì non possono farlo. Questa è la prima volta che mi capita di perdere per tre settimane questo privilegio (…). Questa cosa mi ha fatto sentire una responsabilità in più nei loro confronti (…). Stories tornerà. Sono sveglia da tre giorni di fila, mi serve rimettere insieme i pezzi e non c’è nient’altro che mi piaccia fare più di questo: non vedo l’ora“.

Fonte foto: ANSA

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