NOTIZIE
CRONACA ESTERA

Basi Unifil italiane attaccate in Libano da Israele, tensione con Tel Aviv: l'interivsta al generale Li Gobbi

Attacchi alle basi italiane Unifil in Libano, Giorgia Meloni e Guido Crosetto furiosi con Israele: l'intervista al generale Li Gobbi

Pubblicato:

Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Due attacchi in due giorni contro basi Unifil, da parte di Israele, stanno facendo crescere la preoccupazione anche per i militari italiani impiegati nella missione Onu in Libano. Nelle scorse ore era arrivato il commento dell’Ambasciata israeliana in Italia, che in una nota chiariva che “Israele apprezza l’assistenza dei Paesi donatori di Unifil, in particolare dell’Italia, e li ringrazia per il loro tentativo di prevenire un’escalation nella nostra regione”. Nel documento, però, si aggiungeva anche che “dall’8 ottobre Hezbollah ha lanciato migliaia di missili contro Israele e decine di migliaia di cittadini israeliani sono stati costretti a evacuare le proprie case nel nord. Sfortunatamente Hezbollah sta cercando di nascondersi vicino alle basi Unifil e Israele ha già scoperto tunnel e depositi di armi vicino a quell’area”. Parole che non hanno cancellato la dura reazione del Governo, che emerge soprattutto dalle parole di Giorgia Meloni e del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Sul tema, ai microfoni di Virgilio Notizie, il commento del generale Antonio Li Gobbi, che in passato ha partecipato a missioni Onu in Siria e Israele, oltre che a interventi Nato in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Già direttore delle Operazioni presso lo Stato maggiore Internazionale Nato a Bruxelles è ora Senior Mentor presso il Nato Defense College.

La dura reazione di Crosetto e Meloni

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha parlato con l’omologo israeliano Yoav Gallant e ha convocato l’Ambasciatore dello Stato ebraico a Roma.

Poi, in conferenza stampa, giovedì 10 ottobre, ha affermato: “Non si tratta di un errore, non si tratta di un incidente. Gli atti ostili reiterati delle Forze israeliane contro la base 1.31 potrebbero costituire crimini di guerra e sicuramente sono gravissime violazioni del diritto internazionale“.

La base italiana Unifil 1-31 – già colpita nei giorni scorsi – dopo il crollo dei muri abbattuti dall’esercito israeliano

Anche la premier, Giorgia Meloni, ha definito “inaccettabile” l’accaduto e l’Onu ha convocato una riunione d’emergenza al Palazzo di Vetro.

Dagli stessi vertici della missione delle Nazioni Unite in Libano si è sottolineato come “ogni attacco deliberato alle forze di peacekeeping è una grave violazione del diritto umanitario internazionale e della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza”.

“Ricordiamo alle Idf e a tutti gli attori i loro obblighi di garantire la sicurezza e la protezione del personale e delle proprietà delle Nazioni Unite e di rispettare l’inviolabilità dei locali dell’Onu in ogni momento”, si legge in una nota ufficiale di Unifil, che ha poi respinto la richiesta israeliana di evacuare le postazioni lungo il confine tra Israele e Libano.

L’attacco alle basi Unifil

Ad alimentare nuova tensione nell’area sono state le operazioni delle forze armate israeliane che hanno aperto il fuoco prima contro il quartier generale dell’UnifilNaqura, ferendo due caschi blu (di nazionalità indonesiana) poi altre postazioni nel sud del Libano dove si trova anche contingente italiano, con altri due feriti (cingalesi), dei quali uno in gravi condizioni.

L’operazione delle forze di Tel Aviv, secondo alcune fonti qualificate riportate da Rainews24, avrebbe l’obiettivo di “costringerla a ritirarsi” per non avere “testimoni scomodi” in vista di “pianificazioni future” dell’esercito israeliano in Libano.

Dopo che la situazione è tornata alla normalità, il comandante di Unifil, il generale Arnoldo Lazaro, ha contattato le forze israeliane per esprimere la condanna all’attacco e protestare ufficialmente.

L’intervista al generale Antonio Li Gobbi

Come si spiega quanto accaduto alle basi Unifil?

“Credo che questa situazione fosse ampiamente prevedibile, forse si sono chiusi gli occhi finora e ora ci si stupisce di qualcosa di cui forse non ci si dovrebbe stupire. Il problema riguardo alla missione Unifil è che, come altre missioni Onu, può funzionare solo a patto che operi tra entità statuali che siano consenzienti e che siano in grado di esercitare un controllo effettivo su tutte parti in causa (e né Libano né Israele controllano gli Hezbollah etero diretti da Teheran). Ogni volta che si è pensato di poter ampliare il ruolo militare dell’Onu, come ad esempio in Congo nel 1964, si è assistito a un fallimento, perché in campo c’erano anche milizie non statuali, come ora c’è Hezbollah in Libano. C’è un’incapacità strutturale dell’Onu nel gestire operazioni militari, come avvenuto anche in Somalia, dove anche noi italiani abbiamo pagato un tributo di sangue, e ancora peggio in Bosnia, dove non si può dimenticare la vergogna di Sebrenica, e dove poi è dovuta subentrare la Nato con ben diverso mandato, diverse regole d’ingaggio e soprattutto diversa credibilità politica”.

Quindi non ci si dovrebbe meravigliare dell’azione di Israele e della sua richiesta di arretrare di 5 km, avanzata ai vertici Unifil?

“Sì, perché di fatto la risoluzione Onu al cui rispetto è chiamata Unifil, la 1701, è disattesa da tempo, in effetti da 18 anni: le forze israeliane si erano ritirate al di là della Blue Line e in prossimità di quello che viene ritenuto un confine internazionalmente riconosciuto non avrebbero dovuto esserci operazioni militari, invece Hezbollah non solo ha proseguito con il lancio di missili sul nord di Israele, ma lo ha anche intensificato dopo il 7 ottobre”.

Ma come erano e sono stati finora i rapporti tra i vertici della missione Unifil e Israele?

“Va chiarito che non si tratta di rapporti interpersonali, Unifil ha avuto degli ottimi comandanti, anche italiani. Il punto è che l’Onu non è strutturata politicamente prima ancora che militarmente per condurre in proprio operazioni di peace enforcing, ma solo di peace keeping. Pertanto, una missione Onu si può istituzionalmente basare solo sul consenso delle parti al suo operato e questo si fonda sulla fiducia. Se uno degli attori (in questo caso Israele) ritiene che quella Forza non garantisca più il rispetto delle condizioni concordate e che consenta invece alla controparte di acquisire vantaggi ritenuti illegittimi, è inevitabile aspettarsi sfiducia nell’operato della missione Onu. Per questo Israele ha chiesto a Unifil di arretrare di 5 km, per poter agire contro Hezbollah, che ha le sue postazioni proprio in quell’area. Non è perché, come qualcuno sostiene, non vuole che ci siano ‘testimoni scomodi’, ma semplicemente perché avere una forza frapposta impedisce le operazioni e, oltretutto, facilita Hezbollah che può contare sul fatto che l’avversario non lo colpisca per la prossimità con la missione Unifil”.

Esistono dei precedenti?

“Sì, la stessa richiesta di arretrare fu avanzata dall’Egitto il 16 maggio 1967 alla missione Onu che si trovava in Sinai. All’epoca il Segretario Generale delle Nazioni Unite U Thant ci riflettè per tre giorni, poi acconsentì. Neanche un mese dopo Israele, dovette lanciare un attacco preventivo per precedere l’ormai imminente aggressione egiziana (con la guerra dei sei giorni)”.

Ma Unifil non dovrebbe essere proprio una forza di interposizione tra Libano e Israele?

“In realtà Unifil non è né una peace enforcement mission e neppure una missione di interposizione, come qualcuno si ostina a definirla. Il nome parla chiaro: United Nations Force Interim in Lebanon: è un interim che dura dal ‘78, da 46 anni. Forza Onu alla quale, nonostante la dedizione dei suoi militari, non è stato consentito dall’Onu stesso di utilizzare i mezzi idonei a far rispettare le molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite riferite alla contrapposizione israelo-libanese, di cui la 1701 del 2006 è solo l’ultima in ordine di tempo”.

Cosa c’è da aspettarsi, adesso? Che rischi corrono i caschi blu, anche italiani?

“Il ministro della Difesa, Crosetto, ha protestato ufficialmente e non poteva fare altrimenti, ma l’operato di Israele era prevedibile e personalmente ritengo che Israele non avesse alternative per eliminare la minaccia Hezbollah al suo confine settentrionale: da un anno viene attaccato anche da nord ed è un dato di fatto che l’Iran agisca di concerto con Hamas, Hezbollah e gli Houti. Nel caso di Hezbollah le forze armate libanesi supportate da Unifil non sono state in grado di impedire i ripetuti attacchi dei miliziani. Qualche mese fa le nazioni contributrici più importanti (Italia, Francia e Spagna) avrebbero dovuto porre con forza il problema al Segretario Generale e al Consiglio di Sicurezza: o si cambia la missione per renderla in condizione di far veramente implementare la 1701 o si ritirano i contingenti. Quella finestra di opportunità temporale è, a mio avviso, ormai svanita. Adesso un ritiro del solo contingente italiano non può essere accettato politicamente e apparirebbe una fuga indecorosa, a meno che a livello di Consiglio di Sicurezza Onu non si decida il ritiro dell’intera missione”.

Fonte foto: ANSA

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963