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Alzheimer, casi in aumento: quali sono i primi sintomi e cosa succede nel cervello di un malato

Negli Usa è stata autorizzata la vendita del primo test per la diagnosi precoce dell'Alzheimer: cosa si sa della malattia e a che punto sono le cure

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Oggi in Italia si contano circa 1,2 milioni di persone colpite da demenza. Di queste circa il 60%, ossia 720mila, è interessato da Alzheimer. Secondo gli esperti, però, sono numero destinati a crescere tanto che 2040 si stima che i malati potranno essere 2,5 milioni, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione. Mentre proseguono le ricerche sulle cause e sulle terapie, dagli Stati Uniti è arrivata di recente la notizia dell’autorizzazione al commercio del primo test diagnostico in vitro per la diagnosi precoce della presenza di placche amiloidi sul cervello, che sono associate al morbo.

La Food and Drug Administration statunitense, infatti, ha autorizzato la commercializzazione del Lumipulse G β-Amiloid Ratio (1-42/1-40), ossia il primo test per la diagnosi precoce dell’Alzheimer, destinato a pazienti adulti, in particolare over 55, che presentino un deterioramento cognitivo compatibile con la malattia.

Secondo gli esperti si tratta di un passo in avanti nella ricerca, che potrebbe essere molto utile per intervenire tempestivamente e rallentare la progressione della demenza. Di tutto questo ha parlato, a Virgilio Notizie, Antonio Guaita, medico geriatra e Direttore del Centro di ricerca della Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso.

Come funziona il nuovo test diagnostico e perché è importante

“In realtà occorre fare una premessa: non si tratta certo di un testo auto-diagnostico, perché si effettua tramite una puntura lombare che serve a estrarre il liquor (cioè il liquido cerebrospinale umano, NdR)” chiarisce Antonio Guaita, medico geriatra e Direttore del Centro di ricerca della Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso, in provincia di Milano. Il test Lumipulse permette di misurare il rapporto tra le concentrazioni di β-amiloide 1-42 e β-amiloide 1-40 (proteine che formano la placca) trovate nel liquido cerebrospinale umano (CSF). “Si tratta di un valore che va comunque sempre interpretato anche alla luce del quadro clinico e di altre molecole come la tau e sintomi cognitivi importanti – spiega l’esperto, autore anche del libro “Vivere con…l’Alzheimer” (disponibile su Amazon).

Cos’è l’Alzheimer e quali sono i sintomi

“È una malattia degenerativa del cervello, che causa alterazione delle funzioni cellulari e la loro morte. È la causa principale di demenza: porta a riduzione delle capacità cognitive (memoria, orientamento, pensiero astratto, capacità di pianificazione esecuzione, etc.), in dimensioni tali da ridurre l’autonomia nella vita quotidiana e non dovuta a cause che alterano la coscienza (come febbre alta, coma, ebbrezza alcolica etc.). Quindi i sintomi sono quelli indicati dalla definizione di demenza. Inoltre sono progressivi perché peggiorano nel tempo” spiega l’esperto.

Come si cura oggi l’Alzheimer: quali sono le possibilità di terapia

“Vi sono farmaci sintomatici (anticolinesterasici, Memantina) che ritardano un po’ la perdita delle funzioni cognitive. Ma, pur se certamente utili, sono di efficacia limitata nelle dimensioni e nel tempo. È importante un approccio non farmacologico. Stili di vita che riducano il rischio di contrarre la malattia, come attività fisica e mentale, ricchezza di rapporti sociali, alimentazione ricca di frutta e verdura, stare di buon umore. Poi, nelle fasi molto iniziali della demenza, è importante la stimolazione cognitiva, con vere e proprie sedute di allenamento condotte da personale preparato. Nelle fasi avanzate, invece, occorre affrontare i sintomi comportamentali: disturbi del sonno, dell’umore, iperattività o apatia, vagabondaggio, irritabilità. Anche su questi i farmaci sono di aiuto, ma raramente risolutivi. Occorre sempre considerare tali disturbi nel contesto in cui avvengono, considerarli anche l’espressione di un possibile disagio del paziente che alle volte è possibile rimuovere”, spiega Guaita. Inoltre, qualche mese fa dei farmaci per curare l’Alzheimer ne aveva parlato anche Roberto Burioni.

Quanto sono importanti l’alimentazione e alcuni cibi in particolare

“Vi sono dati consistenti che dimostrano che la cosiddetta ‘Dieta mediterranea’ riduce il rischio di ammalarsi di demenza. Gli studi sulla somministrazione di singoli componenti “chimici” caratteristici di questa dieta, come il resveratrolo o certe vitamine, non si sono invece dimostrati efficaci. Non vi sono studi che dimostrino che questi stessi fattori rallentino il decorso clinico di una malattia di Alzheimer già instaurata con i sintomi della demenza” chiarisce il geriatra.

Quali sono le nuove frontiere della ricerca nel contrasto all’Alzheimer

“Le strade sono principalmente due: la prima consiste nell’individuazione di marcatori biologici precoci della malattia. In pratica, un esame del sangue che dica che il soggetto è ad alto rischio o è in corso di malattia. La seconda strada consiste, invece, in esami funzionali “in vivo” come la PET Amiloide e più di recente la PT TAU che dicono se nel cervello si stanno accumulando (e dove) queste proteine potenzialmente dannose o espressione di un danno. Infine, non dimentichiamo che vi sono dubbi sempre più grandi che la beta amiloide sia l’agente principale del danno ai neuroni e della demenza, mentre si stanno studiando altre componenti come i mitocondri e le cellule immunitarie del cervello come la microglie e in parte l’astroglia”, prosegue l’esperto.

Qual è l’impatto della malattia in Italia e quanto pesa l’invecchiamento generale

“L’aumento dei casi rispecchia in modo impressionante l’invecchiamento della popolazione. L’incidenza raddoppia ogni 5 anni di età. A mio parere, quindi, l’aumento numerico è tutto spiegato dalla crescita della popolazione anziana che raggiunge età più avanzate. Infatti, l’incidenza percentuale (cioè il numero di malati per 100 individui di quell’età) è rimasta uguale o anche un po’ diminuita – conclude Guaita – Per questo è molto importante studiare come l’invecchiamento può modificare l’ambiente cellulare e biochimico del cervello, individuando le modificazioni che rendono più probabile avere la malattia di Alzheimer”.

Fonte foto: 123RF

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