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Senza casa e senza diritti, la residenza anagrafica negata ai senza dimora: l'intervista ad Antonio Mumolo

L'intervista ad Antonio Mumolo, presidente dell’onlus per l’assistenza legale dei senzatetto Avvocato di Strada, sull'emergenza casa

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Matteo Scannavini

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista e sviluppatore web appassionato di data e slow journalism, specializzato in giornalismo investigativo.

In Italia la residenza è un diritto ad avere diritti, ma spesso è negata a chi non ha una casa. Salute, lavoro, previdenza e assistenza sociale sono solo alcune delle garanzie costituzionali che si perdono quando non si è iscritti alla residenza anagrafica. Questo vuol dire, per esempio, non poter avere un medico di base o ricevere la pensione. Anche le persone senza fissa dimora dovrebbero infatti poter registrare la residenza nel comune dove hanno domicilio. Ma la procedura, semplice a livello nazionale, spesso è ostacolata da diverse pratiche locali, che finiscono per negare una serie di diritti fondamentali. Virgilio Notizie ne ha parlato con l’avvocato Antonio Mumolo, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna presidente di Avvocato di Strada, un’associazione che offre assistenza legale gratuita alle persone senza dimora, spesso aiutandole proprio a ottenere la residenza.

Gli ostacoli per le persone senza dimora

I requisiti che un cittadino deve rispettare per ottenere la residenza sono solo due: uno oggettivo, trovarsi fisicamente in un comune, e uno soggettivo, scegliere di richiedere l’iscrizione anagrafica nello stesso.

La pratica dovrebbe essere breve: “Per legge – spiega l’avvocato Mumolo -, se chiedi la residenza il Comune deve rispondere entro 48 ore. Se la nega deve dire perché, altrimenti ti deve iscrivere all’anagrafe, poi ha 45 giorni di tempo per verificare che tu sia effettivamente sul territorio”.

Anche chi non ha un’abitazione fisica può registrarsi nel comune in cui ha domicilio, presso l’indirizzo del municipio, di un’associazione che lo segue o, come raccomanda l’Istat dal 1992, una via fittizia, cioè una via immateriale istituita da un comune proprio per i senza dimora. In pratica però, le cose sono più complicate.

“La residenza è in capo al Ministero dell’Interno, che poi per legge delega ai sindaci, che delegano a un dipendente del Comune, l’ufficiale dell’anagrafe – continua Mumolo -. Tutti i comuni dovrebbero quindi applicare la legge in maniera uniforme, invece non è così: nonostante la legge sia chiara viene interpretata in maniera totalmente diversa da tanti ufficiali dell’anagrafe. E se non hai un avvocato, ed è difficile che una persona senza dimora lo abbia, non prendi la residenza”.

Avvocato di Strada fornisce assistenza legale gratuita a persone senza dimora, ha vinto tante cause per il riconoscimento della residenza e contribuito all’istituzione di diverse vie fittizie. Nel 2019, ha condotto un’indagine in 302 comuni, considerando le città più grandi e le zone limitrofe, dove le persone senza dimora si concentrano data la maggior offerta di servizi.  “A tutti questi abbiamo chiesto per iscritto come si regolano rispetto alla residenza anagrafica, cioè se e come se danno la residenza alle persone senza dimora – racconta Mumolo -. È venuto fuori di tutto: uffici anagrafe che danno la residenza solo a chi è nato nel territorio, altri solo a chi non ha precedenti penali o non ha debiti, cioè se è povero non lo iscrivono.”

A Roma per esempio, come denuncia un recente appello delle principali onlus locali, il Comune permette l’iscrizione all’anagrafe dei senza dimora solo dopo un colloquio con assistenti sociali, allungando di molto le 48 ore per l’approvazione della domanda previste dalla legge.

Cosa comporta non avere la residenza

Ma cosa comporta non essere iscritti all’anagrafe? La perdita di molti diritti: la salute, perché non si ha accesso a un medico di base ma solo al pronto soccorso; la difesa attraverso il gratuito patrocinio, ovvero la possibilità di avere un avvocato a spese dello stato quando non ce lo si può permettere; l’assistenza sociale, perché spesso i beneficiari sono individuati attraverso la residenza; il lavoro, perché chi non è registrato all’anagrafe non può aprire partita IVA e talvolta partecipare a bandi di formazione e orientamento; e ancora la previdenza sociale, il voto, l’emissione di nuovi documenti d’identità e altri.

A prescindere da queste conseguenze, per la legge italiana lo stato deve garantire la residenza a tutti cittadini sul territorio per motivi di ordine pubblico. “La residenza – spiega Mumolo – è un diritto soggettivo di ogni cittadino italiano e di ogni cittadino straniero regolarmente soggiornante. Non riguarda il welfare e il benessere, ma la necessità da parte dello stato di controllo sociale”. Significa, ad esempio, che le istituzioni devono sapere dove trovare chi compie un reato o quante persone potrebbero trovarsi sotto le macerie di un palazzo che crolla.

I timori dei Comuni sul costo della residenza

C’è inoltre un aspetto economico che può frenare le amministrazioni locali dal riconoscere la residenza. “Se in un comune una persona senza dimora chiede l’iscrizione e nel momento in cui viene registrata finisce in una casa di cura perché è molto malata, chi paga quelle spese? Può voler dire 2000-3000 euro al mese, 30milano all’anno, per i servizi sociali di quel comune” spiega Mumolo.

Come sottolinea l’avvocato, ciò non significa che i comuni non riconoscano la residenza per malafede, anche perché non potrebbero farlo per legge. Ma esistono comunque timori di spesa, che spesso si rivelano infondati. “Per esempio a Bologna la stragrande maggioranza delle persone che ha preso la residenza si è integrata nel tessuto economico: alcuni avevano diritto alla pensione e hanno potuto prenderla, altri hanno iniziato a lavorare” racconta Mumolo. Garantire l’accesso al medico di base attraverso la residenza fa inoltre risparmiare sui servizi di pronto soccorso, alleggerendoli grazie alla prima mediazione del sistema sanitario.

Quante sono le persone senza fissa dimora iscritte all’anagrafe in Italia

L’iscrizione alla residenza anagrafica è infine il criterio usato per (sotto)stimare il numero di senzatetto in Italia. L’ultima rilevazione Istat stima di 96mila persone senza fissa dimora nel 2021, ma non conta appunto tutti coloro che non hanno la residenza, su cui non esistono dati.

Tra gli iscritti all’anagrafe, i senza dimora sono per lo più maschi (212,4 uomini ogni 100 donne), il 38% è di origine straniera, di cui oltre la metà di paesi africani, e l’età media è 41,6 anni. Di seguito, la mappa interattiva delle persone senza fissa dimora iscritte per municipio.

La metà dei senza dimora si concentra in 6 grandi città: la prima per distacco è Roma, che conta oltre 22 mila senzatetto iscritti all’anagrafe (23%), poi Milano (8,9%) e a seguire Napoli (6,9%), Torino (4,6%), Genova (2,9%) e Foggia (3,7%), l’unico comune non grande tra i primi in graduatoria.

Fonte foto: 123RF

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