Saluto romano è apologia di fascismo per la Cassazione: applicare legge Scelba, differenze con legge Mancino
Il saluto romano è apologia di fascismo: è la sentenza della Cassazione, che contesta l’applicazione della legge Scelba, oltre che della legge Mancino
Le Sezioni unite della Cassazione hanno decretato che, in relazione al saluto romano, bisogna contestare il reato di apologia del fascismo, così come previsto dall’articolo 5 della legge Scelba del 1952. La Corte ha annullato la condanna nei confronti degli 8 imputati, partecipanti di un corteo di estrema destra, condannati nel 2020 con riferimento alla legge Mancino del 1993.
- Il saluto romano è apologia di fascismo
- Il caso su cui si è espressa la Cassazione
- Differenze tra legge Scelba e legge Mancino
Il saluto romano è apologia di fascismo
Il gesto del saluto romano è stato negli ultimi anni al centro di un complesso nodo interpretativo, si dibatteva se si trattasse di un’azione legata a un’ideologia discriminatoria o, più nello specifico, un simbolo proprio dell’ideologia fascista.
Chiamati ad affrontare la questione, i giudici delle Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che: “La “chiamata del presente” o “saluto romano” è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista”.
In sintesi, la Cassazione ha stabilito che il saluto romano è apologia del fascismo, specificando che il gesto “integra il delitto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.
Il caso su cui si è espressa la Cassazione
La sentenza è stata deliberata in merito agli 8 imputati che avevano fatto il saluto romano durante un corteo di estrema destra a Milano, organizzato nel 2016 per commemorare Sergio Ramelli, studente 19enne militante del Fronte della Gioventù, morto in seguito all’aggressione da parte di un gruppo di fazione opposta nel 1975.
Gli imputati, assolti in primo grado, erano stati in seguito condannati in appello con riferimento alla legge Mancino, che punisce le ideologie discriminatorie.
La Cassazione ha annullato la condanna, rinviando la questione ad altra sezione della Corte d’Appello, e riqualificato il reato sulle base dell’articolo 5 della legge Scelba.
Differenze tra legge Scelba e legge Mancino
La legge 20 giugno 1952, n.645, detta legge Scelba dal nome del presidente del comitato interministeriale che la propose, è quella che introdusse il reato di apologia del fascismo in Italia.
L’articolo 5 della suddetta legge dichiara che: “Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire”.
Le legge 25 giugno 1993, n. 205, conosciuta come legge Mancino dall’allora ministro dell’Interno che ne fu proponente, è invece lo strumento legislativo volto alla repressione dei crimini d’odio e dell’incitamento all’odio.
Le legge Mancino non si riferisce al fascismo nello specifico ma riguarda, più in generale, tutti coloro colpevoli di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.