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Morto 72enne positivo al Covid per 613 giorni: l'ipotesi dei ricercatori sugli "eterni positivi" e le varianti

I risultati di uno studio su un paziente 72enne morto dopo essere stato positivo al Covid per 613 giorni: ipotesi sugli eterni positivi e le varianti

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Stefano D'Alessio

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista. Laureato in Comunicazione, per anni si è occupato di sport e spettacolo. Scrive anche di attualità, cronaca e politica. Ha collaborato con importanti testate e programmi radio e tv, a livello nazionale e locale.

La più lunga infezione cronica da Covid conosciuta dagli esperti è durata 613 giorni: il nuovo record sul coronavirus è stato individuato dagli esperti del Cemm (Centro di medicina sperimentale e molecolare) dell’University Medical Center (umc) di Amsterdam. Magda Vergouwe e colleghi dell’istituto olandese hanno descritto il caso di un 72enne immunocompromesso, morto dopo aver convissuto con il virus per circa 1 anni e 8 mesi. Lo studio sul paziente ha permesso di formulare un’ipotesi sugli “eterni positivi” e le nuove varianti.

Il caso del paziente positivo al Covid per 613 giorni

Lo studio che descrive la positività da record del paziente sarà presentato al Congresso Escmid Global di Barcellona (27-30 aprile), ma ‘Adnkronos’ ha anticipato le scoperte degli esperti.

Il 72enne protagonista dello studio è morto a causa di una ricaduta della sua patologia ematologica dopo essere rimasto positivo al Sars-CoV-2 con elevata carica virale per 613 giorni. Il paziente è stato ricoverato con l’infezione nel polo di Amsterdam a febbraio 2022 e definito immunocompromesso a causa di una storia di trapianto allogenico di staminali come trattamento di una sindrome da sovrapposizione mielodisplastica e mieloproliferativa. La situazione si è ulteriormente complicata per un linfoma post-trapianto, per cui il paziente ha ricevuto rituximab, farmaco che esaurisce tutte le cellule B disponibili, incluse quelle che normalmente producono gli anticorpi diretti contro il Sars-CoV-2.

In precedenza, l’uomo aveva già ricevuto diverse vaccinazioni contro il Covid, senza avere una risposta anticorpale misurabile al momento del ricovero in ospedale.

Dai test è emersa la presenza di un’infezione da variante Omicron BA.1.17. Il paziente ha ricevuto diversi trattamenti (anche con monoclonali) senza ottenere una risposta clinica.

Il sequenziamento del virus nella fase di follow-up ha mostrato che già 21 giorni dopo si era sviluppata una mutazione resistente all’anticorpo con cui è stato trattato il paziente. Il suo sistema immunitario non si è rivelato in grado di eliminare il virus e l’infezione prolungata e l’ampia evoluzione virale hanno portato all’emergere di una nuova variante immunoevasiva. Fortunatamente, nella comunità non si è verificata alcuna trasmissione documentata della variante altamente mutata (niente casi secondari).

Il paziente protagonista dello studio è deceduto dopo essere stato positivo al Covid per 613 giorni.

L’ipotesi dei ricercatori sugli “eterni positivi” e le nuove varianti

Gli esperti hanno evidenziato il rischio che nei cosiddetti “eterni positivi” si creino le condizioni (infezioni persistenti in pazienti senza difese) che li rendono una sorta di “motore” per lo sviluppo di nuove varianti di Sars-CoV-2 potenzialmente immunoevasive. Sebbene siano rare, queste particolari infezioni potrebbero portare a un aumento del numero di mutazioni nel genoma del coronavirus.

Gli autori, in alcune dichiarazioni riportate da ‘Adnkronos’, hanno spiegato che “questo caso sottolinea il rischio legato a infezioni persistenti da Sars-CoV-2 in persone immunocompromesse” e precisato che “sebbene possa esserci un aumento del rischio di sviluppo di nuove varianti, non tutte” quelle che emergono in questo tipo di pazienti “si svilupperanno in una nuova variante di preoccupazione (Voc) per la comunità”.

Gli studiosi hanno aggiunto: “I meccanismi sottostanti alla nascita di una Voc sono molto più complessi e dipendono anche da fattori nella popolazione che circonda il paziente. La durata dell’infezione da Sars-CoV-2 in questo caso descritto è estrema, ma queste sono molto più comuni negli immunocompromessi rispetto alla comunità generale. Un ulteriore lavoro del team ha descritto una coorte di questi pazienti con durate dell’infezione comprese in una forbice da 1 mese a 2 anni”.

Fonte foto: iStock - jarun011

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