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La Manovra preoccupa gli infermieri: "Stipendio da fame tra i più bassi in Europa". L'intervista a De Palma

La Manovra preoccupa gli infermieri: "Stipendio da fame tra i più bassi in Europa". L'intervista ad Antonio De Palma, presidente di Nursing Up

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Angela Gennaro

GIORNALISTA

Giornalista, podcaster e videomaker, lavora per realtà editoriali nazionali. Fa parte di Lost in Europe dal 2019, su Virgilio Notizie si occupa di diversi temi di attualità e interviste, spaziando dagli Esteri all'Economia, con un'attenzione particolare ai temi di diritti e di genere.

In Italia mancano 175 mila infermieri rispetto alla media europea. Numero che arriva a 272 mila se invece si fa il rapporto con i Paesi dell’Unione europea. Lo riferisce il report del sindacato di categoria Nursing Up, aggiornato al 2022 e presentato nel corso dell’ultimo Congresso Nazionale Dirigenti lo scorso 13 ottobre. Antonio De Palma, presidente nazionale dell’associazione degli infermieri italiani fondato nel 1997, preferisce mantenere “sospeso” il giudizio sulla Manovra 2024, la Legge di Bilancio appena approvata in Consiglio dei ministri (Cdm). È in attesa di capire come e se ci siano risorse destinate a migliorare la condizione del comparto. L’intervista concessa a Virgilio Notizie, sulla situazione della professione in Italia, con un focus sui giovani.

La situazione degli infermieri in Italia

Sono 3 i miliardi di euro in più che fanno salire il Fondo sanitario a quota 136 miliardi: l’ipotesi di tagli rispetto al 2023 sembrerebbe – ma il condizionale è d’obbligo – scongiurata.

I fondi in più serviranno in particolare a finanziare il nuovo contratto: circa 2 miliardi di euro che dovranno aumentare le buste paga. Ma per ora si parla solo del personale medico.

Flash Mob di Nursing Up davanti alla Prefettura di Torino, aprile 2022

Antonio De Palma del sindacato Nursing Up spiega che “non sappiamo bene come queste risorse saranno allocate”, e che “ci sono le indicazioni del ministro (Orazio Schillaci, ndr) che parla di 3 miliardi di euro destinati alle liste di attesa, ma senza particolari su come verranno gestite”.

E i 2 miliardi del contratto non appaiono sufficienti: “Il Governo – aggiunge De Palma – pensa che le liste d’attesa possano abbattersi solo agendo sui medici? Restiamo in attesa di capire come verranno usate le risorse e cosa si prevede per il personale infermieristico”.

L’intervista ad Antonio De Palma

Com’è oggi la situazione di infermieri e infermiere in Italia?

“Mettiamola così: se mio figlio mi dovesse chiedere un consiglio e manifestasse interesse per la professione, in coscienza farei oggi fatica a consigliargliela. Almeno in Italia. Come possono, i giovani, decidere razionalmente di affrontare un percorso formativo di questo tipo, impegnativo e lungo (3 anni, master di primo e secondo livello, dottorato), e soprattutto con all’orizzonte uno stipendio da fame da circa 1.500 euro senza gli straordinari, l’impossibilità a mettere su famiglia – a meno che non si trovi un partner meglio stipendiato – e turni massacranti in ospedale?”.

Quindi non è più una professione appetibile?

“C’è una grossa disaffezione da parte dei giovani nell’approcciare ai percorsi di formazione infermieristici. Quest’anno abbiamo registrato il 10,5% in meno di accessi rispetto ai posti messi a disposizione. A questo dato va aggiunto che nei tre anni di percorso si perde il 20% degli studenti. Gli stipendi sono tra i più bassi in Europa. La Francia, che è un Paese che non eccelle per salari rispetto all’Europa, paga un infermiere 2.100 euro al mese. Nel Regno Unito 3 mila, in Svizzera dai 3 mila ai 5 mila. Arabia Saudita ed Emirati arrivano a garantire stipendi da 7 mila euro netti al mese. Al nostro congresso, che si è chiuso venerdì scorso, ho parlato con un’agenzia portoghese che mi ha spiegato che gli infermieri italiani sono considerati tra quelli che hanno le migliori qualifiche al mondo, e perciò si viene in Italia a reclutarli”.

Eppure c’è carenza di personale infermieristico in tutta Italia…

“La disaffezione delle persone giovani ai percorsi universitari di formazione per queste professioni è cristallizzata in quel 10,5% in meno di accessi all’università rispetto ai posti messi a disposizione quest’anno. Una carenza acclarata rispetto alla programmazione delle regioni e del Ministero della Sanità e un’impossibilità numerica a compensare le esigenze di formazione dei servizi e delle strutture del sistema sanitario nazionale. Se poi escono fuori manovre che – speriamo di no, speriamo di essere smentiti e aspettiamo indicazioni in questo senso – pensano solo alla categoria dei medici dimenticando tutto il resto del personale sanitario, non staremo a guardare”.

Scenderete in piazza?

“Potrebbe essere un autunno caldo, ma restiamo in attesa dei dettagli e delle misure del Governo. Ricordo che siamo stati costretti a scendere in campo, a scioperare e a manifestare il 20 ottobre 2020 a Roma, al Circo Massimo. C’erano migliaia di professionisti e abbiamo ottenuto un’indennità di specificità infermieristica che se le dico a quanto ammonta le viene da sorridere: 3,5 euro al giorno lordi. Serve concretezza e non una guerra tra categorie perché oggi gli stipendi infermieristici nel pubblico sono sul limite della soglia di povertà. È un dato di fatto certificato: bisogna aumentare e intervenire con delle leve e non dare priorità ad altri stipendi già più alti. Tra l’altro leggi recenti che hanno aperto anche agli infermieri la possibilità di fare attività libera resta inapplicata e applicabile: prevede tutta una serie di autorizzazioni da parte dell’azienda sanitaria. E questa autorizzazione, ad oggi, arriva una volta su cento”.

Cosa proponete?

“Di non navigare al buio e cominciare a prendere decisioni politiche tenendo presente la realtà dei fatti. Qualcosa che è mancato finora, ai Governi precedenti. Abbiamo un sistema sanitario nazionale la cui struttura è ferma a 50 anni fa e che, come viene rilevato da più parti, è a un passo dal collasso. Bisogna che il Governo si renda conto che la sanità e la qualità dei nostri servizi sono il risultato dell’apporto collettivo di tutte le professionalità, e che non è possibile immaginare di intervenire sulla lista d’attesa prevedendo un compenso aggiuntivo solo per i medici o completamente sbilanciato su di loro e non per tutto il personale che in quelle attività entra direttamente e a pieno titolo, lavorando ogni giorno nelle corsie degli ospedali. L’Italia è peraltro uno dei Paesi con il più alto tasso di anzianità della popolazione. Un livello destinato ad aumentare nei prossimi 5 anni: aumenta quindi anche il bisogno di assistenza infermieristica negli ospedali. Se oggi abbiamo un’esigenza di 175 mila infermieri in più rispetto alla media dei Paesi europei, 272 mila infermieri rispetto alla media Ue, tra cinque anni questa cifra toccherà quota 350 mila. Aumenteranno i bisogni di assistenza, e risposte concrete sono sempre più necessarie”.

Fonte foto: ANSA

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