Kamala Harris contro Donald Trump nel dibattito in tv, chi ha davvero vinto il duello e cosa dicono i sondaggi
I media statunitensi, analizzando il dibattito, definiscono Donald Trump sulla difensiva, mentre Kamala Harris sarebbe riuscita a offrire “un’immagine più presidenziale”. L'intervista a Giampiero Gramaglia
Il dibattito tra Donald Trump e Kamala Harris è durato 90 minuti. Nel corso del duello, i due protagonisti si sono presentati a un Paese diviso, con i loro programmi e l’obiettivo di convincere quel 4% di indecisi che potrebbe fare la differenza tra meno di due mesi, il 5 novembre 2024, l’Election day. Entrambi i candidati rivendicano la vittoria nello scontro, ma chi si è imposto davvero? L’analisi dei media Usa e l’intervista a Giampiero Gramaglia, docente ed esperto di attualità internazionale e diplomatica, collaboratore dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).
- Il dibattito tra Donald Trump e Kamala Harris
- Le regole del duello in tv
- I moderatori e il fact-checking in diretta
- Quando si vota negli Usa: il giorno delle elezioni
- L'intervista a Giampiero Gramaglia
Il dibattito tra Donald Trump e Kamala Harris
Da un lato Donald Trump, a cui è spettata la chiusura del confronto, come da regolamento approvato giorni prima del faccia a faccia: sguardo fisso verso la telecamera, mai rivolto verso l’avversaria.
Dall’altro la sfidante, Kamala Harris, la prima candidata donna alla carica di presidente degli Usa: è apparsa più rilassata rispetto al tycoon, concedendosi numerose espressioni del viso, sorrisi o sguardi sorpresi, da avvocata esperta quale è, scuotendo più volte la testa alle dichiarazioni di Trump.
A osservare le loro mosse, forse più dei contenuti, i telespettatori americani: anche il più piccolo particolare può fare la differenza per confermare o orientare il voto.
Le regole del duello in tv
A ospitare i 90 minuti di confronto serrato è stata l’emittente televisiva statunitense ABC News, che qualche giorno prima aveva divulgato le regole:
- no al microfono aperto durante gli interventi dell’avversario;
- 2 minuti per ogni risposta;
- 2 minuti per una replica;
- 1 minuto per ulteriori chiarimenti;
- nessun appunto: solo carta e penna per segnarsi eventuali note;
- nessun confronto con lo staff durante la pubblicità.
I moderatori e il fact-checking in diretta
A condurre e moderare il dibattito due giornalisti della Abc, ossia David Muir e Linsey Davis.
Entrambi sono da tempo invisi a Trump, in passato aveva definito il network “disonesto” e “il peggiore in termini di correttezza”.
I due giornalisti, inoltre, hanno anche svolto un fact-checking in diretta, smentendo alcune fake news del tycoon, come ad esempio l’affermazione che gli immigrati mangino cani e gatti degli abitanti di Springfield, in Ohio.
Quando si vota negli Usa: il giorno delle elezioni
Il confronto risulta decisivo perché arriva ad appena 7 settimane dall’appuntamento elettorale con le presidenziali Usa (5 novembre) e con bacino di voti ancora da assegnare.
Le ultime consultazioni hanno mostrato come i sondaggi non siano sempre attendibili, ma comunque al momento si ipotizzano un recupero di Kamala Harris e un testa a testa in molti Stati-chiave, i cosiddetti Swing States. A pesare è anche l’incognita su eventuali falle del sistema elettorale che potrebbe lasciare spazio a brogli.
L’intervista a Giampiero Gramaglia
Tutti si chiedono chi sia il vincitore del dibattito tra Trump e Harris: secondo lei?
“I media statunitensi sono chiari nell’indicare che Harris ha mantenuto un atteggiamento di attacco nel dibattito, costringendo sulla difensiva – se non alle corde – Donald Trump. Sia nel linguaggio del corpo (sfoggiando un sorriso contrapposto al grugno dell’avversario) sia nei contenuti e nelle proposte di programma, ha avuto un’immagine più presidenziale di quella di Trump, nonostante quest’ultimo avesse una maggiore esperienza di dibattiti tv. Basti pensare che era al suo settimo, mentre la candidata democratica era esordiente in questo tipo di attività. Mi pare chiaro che Kamala Harris abbia preso le misure dell’avversario e poi il sopravvento, anche se fin da subito lo ha spiazzato: lo ha fatto salendo sul palco e andando direttamente verso Trump per presentarsi e stringergli la mano, visto che non si erano mai incontrati fisicamente prima. Un gesto che non ha fatto neppure Joe Biden nel dibattito del 27 giugno, nonostante i due si conoscessero”.
Kamala Harris si è sempre rivolta agli elettori, Trump è apparso più teso: che effetto può avere sugli elettori?
“Non dimentichiamo che dei 50 milioni di spettatori, la maggior parte era costituita da potenziali elettori di Harris perché quelli di Trump non hanno guardato il dibattitto: troppo lungo come formato. Certo l’ex Presidente ha avuto qualche ‘sbavatura’ nel linguaggio – ma in realtà menzogna – che possono avergli fatto perdere punti. Per esempio sull’ aborto ha affermato che i democratici intendono uccidere bambini già nati; oppure quando ha affermato che i tassi di criminalità diminuiscono ovunque tranne negli Stati Uniti perché i criminali di tutto il mondo arrivano negli Usa come migranti; oppure ancora quando ha accusato Nancy Pelosi e il sindaco di Washington di quanto accaduto nell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio, definendo i manifestanti dei ‘patrioti”, senza ammettere la propria sconfitta nel 2020 e parlando ancora di brogli”.
Quindi si può dire che il primo dibattito sia stato vinto da Harris?
“È significativo che un sito conservatore anche se non trumpiano abbia titolato oggi “La fine”, intendendo la fine della candidatura di Trump. Forse la sortita più improbabile è stata quella dei gatti di Springfield, già menzionata dal candidato vice Presidente JD Vance, ma smentita anche da uno dei due conduttori di ieri in studio. È un’uscita che richiama un altro attacco di Trump alla Harris, definita nelle scorse settimane una ‘gattara senza figli’”.
Il confronto sposterà qualche voto e, soprattutto, avrà convinto l’uomo bianco di mezza età che Harris sembrava non aver ancora raggiunto?
“Credo vada fatta una distinzione: l’uomo bianco, di mezza età o più anziano e con un livello culturale più basso è ancora tendenzialmente trumpiano e poco attento al messaggio di Harris, ma penso non abbia ascoltato il dibattito, a meno che non fosse trasmesso in un locale dove già si trovava per trascorrere la serata. Ma questo elettore aveva già deciso di votare Trump, non è permeabile. Se invece parliamo di un padre di famiglia sui 30/40 anni, bianco, che lavora e ha problemi a causa del costo della vita, allora il messaggio di Harris era denso di elementi e può essere stato raccolto”.
Quali sono gli Stati-chiave?
“Credo che nelle prossime settimane entrambi i candidati si concentreranno proprio su questi, cioè Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona e Nevada soprattutto, mentre gli altri sono ormai consolidati tranne qualche incertezza che può venire da Maine e Nebraska, per esempio. La campagna si giocherà negli stati in bilico, dei quali la Pennsylvania è il più grosso e uno dei più incerti. In alcuni stati come il North Carolina e la Georgia il voto dei neri sarà fondamentale, mentre in Arizona e Nevada lo sarà quello ispanico. Qui Harris ha recuperato rispetto a quando il candidato era Joe Biden, ma è ancora ai livelli dello stesso Biden nella campagna del 2020. La partita rimane aperta, però, proprio nella cosiddetta ‘cintura industriale’, oggi arrugginita a causa del declino economico. Conterà anche, in stati come il Michigan, la posizione sul conflitto in Medio Oriente, che è stata affrontata nel dibattito”.
Cosa aspettarsi dal prossimo dibattito tra i due candidati vicepresidenti, Walz e JD Vance?
“Sarà interessante perché entrambi parlano tendenzialmente allo stesso pubblico e con un gergo analogo. Finora la scelta meno infelice è stata quella democratica, nonostante qualche polemica sul passato militare di Walz e le sue posizioni sui diritti di genere e sulla vicenda passata di George Floyd, accaduta proprio nel Minnesota, a Minneapolis. JD Vance, invece, può raccogliere consensi anche tra il pubblico femminile che segue Tramp, con uscite come quella delle ‘gattare senza figli’. Certo il loro dibattito, specie per la rudezza di linguaggio, rischia di essere piuttosto divertente, anche se lo è stato sicuramente già quello della scorsa notte rispetto al precedente del 27 giugno”.
Cosa pensa dell’endorsement di Taylor Swift?
“Certo è importante perché oggi è forse l’esponente più popolare dell’industria musicale negli Usa (e non solo): ha un enorme seguito fatto di 283 milioni di follower e il suo endorsement era molto ricercato, ci sperava Joe Biden, ma la corteggiava anche Donald Trump. Finora non si era sbilanciata. Adesso la sua posizione potrebbe essere decisiva per spingere i giovani elettori ad andare alle urne”.