Il richiamo annuale del vaccino contro l'influenza potrebbe non servire più: l'intervista a Massimo Ciccozzi
Secondo i primi dati di uno studio americano potremmo dire addio al richiamo annuale del vaccino contro l'influenza. Il punto di Massimo Ciccozzi
Un vaccino quasi universale che possa proteggere da quasi nei confronti di 20 diversi ceppi di influenza. È quello a cui stanno lavorando alcuni ricercatori statunitensi della Pennsylvania University, che hanno pubblicato sulla rivista Science i primi dati del loro studio condotto sui topi. “È possibile che si possa pensare a un richiamo ogni 3 o 4 anni, invece di quello annuale che viene effettuato oggi”, commenta a Virgilio Notizie Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus Biomedico di Roma.
Cosa dice lo studio americano
I risultati dello studio dell’Università della Pennsylvania sono promettenti e lasciano sperare all’arrivo di un vaccino in grado di garantire una copertura non solo su un maggior numero di ceppi rispetto a quelli attuali (3 o 4 a seconda che il vaccino sia trivalente o quadrivalente), ma anche più duraturi nel tempo.
L’intuizione ‘grazie’ al Covid
Questa prospettiva è resa possibile dalla tecnica a RNA messaggero, la stessa utilizzata nei vaccini anti-Covid messi a punto da Moderna e Pfizer durante la pandemia.
L’intervista a Massimo Ciccozzi
Quello di un vaccino unico contro l’influenza è un traguardo molto ambizioso, ma che ora sembra più raggiungibile: cosa ne pensa?
“Sicuramente si tratta di una buona notizia, incoraggiante. L’idea è quella di poter disporre di un vaccino che offra una garanzia di protezione nei confronti dell’influenza che sia più duratura, anche di 3 o 4 anni. Questo è possibile proprio grazie alla tecnica dell’RNA messaggero, che permette di modificare rapidamente il vaccino in caso di variazioni sensibili”, spiega l’epidemiologo.
Si potrebbe avere un vaccino che arrivi a includere fino a 20 ceppi differenti di virus, topi e furetti hanno sviluppato anticorpi per 4 mesi: come è stato possibile?
“Il meccanismo è lo stesso alla base dei vaccini anti-Covid a RNA messaggero. In quel caso l’RNA (una variante del DNA in grado di veicolare informazioni alle cellule, NdR) portava la proteina Spike alle cellule stesse, che imparavano a riconoscerla come corpo estraneo e producevano anticorpi in grado di contrastarla e riconoscerla in caso la rincontrassero. Lo stesso avverrebbe con il vaccino antinfluenzale, agendo su una parte della proteina emoagglutinina – spiega Ciccozzi – Una volta memorizzata, infatti, il sistema immunitario sarebbe in grado di riconoscerla e reagire. L’idea è buona, contro il Covid ha funzionato, ora occorrerà capire in concreto quanto risulterà efficace e duratura la protezione”.
Si può dire che la pandemia ha impresso una accelerazione in campo medico, portando anche a una svolta in altri ambiti sanitari?
“Sicuramente ha aperto la strada a tecniche nuove, come quelle che sfruttano l’RNA messaggero, come in questo caso. È da tempo, per esempio, che si pensa a un impiego anche in ambito oncologico”, spiega l’epidemiologo.
È possibile pensare a un vaccino contro i tumori, in un futuro non troppo lontano?
“Sì, se ne parla da tempo, in effetti, e il fatto di aver creato vaccini a RNA messaggero contro il coronavirus ha permesso anche in questo caso di accelerare la ricerca. Ma attenzione: non si tratterebbe di un vaccino in senso tradizionale, come lo abbiamo inteso finora”, spiega Ciccozzi.
Cosa intende dire? Come potrebbe funzionare un vaccino anti tumore e in che casi?
“Noi siamo abituati a pensare ai vaccini come forma di prevenzione rispetto ad alcune patologie. Nel caso dei tumori, invece, non sarebbe offerto a persone sane per evitare o ridurre l’impatto della malattia, ma sarebbe piuttosto una terapia per chi ha il cancro, che si aggiungerebbe a quelle già in uso. Per questo non sarebbe corretto parlare di vaccino in senso stretto” chiarisce l’esperto.
Se fosse una terapia si potrebbe affiancare a quelle già disponibili o potrebbe sostituirne alcune?
“Sarebbe una sorta di immunoterapia. Quella classica, attualmente in uso, funziona ‘accendendo’ il sistema immunitari, mettendolo in allerta e tenendolo acceso in modo che produca anticorpi contro tutte le cellule malate. Questo processo, però, non permette ancora di produrre anticorpi specifici, come invece potrebbe fare un ‘vaccino anti-tumore’. Se dovessimo fare un esempio molto semplice, sarebbe come paragonare una partita di calcio tra due squadre di 11 giocatori ciascuno, oppure uno scontro diretto a tennis, uno contro uno”, spiega Ciccozzi.
I vaccini a RNA messaggero hanno incontrato la resistenza da parte di persone che temono conseguenze negative nel lungo periodo: come si potrebbero convincere?
“Io credo che chi era restio nei confronti di questi vaccini durante la pandemia lo sia nei confronti dei vaccini in genere: si tratta di persone No Vax a tutto tondo – commenta l’epidemiologo – Si potrebbe rispondere che in tre anni di vaccinazioni anti-Covid a RNA non si è assistito ad alcuna ‘trasformazione in animale’ da parte di nessuno. Ma, battute a parte, va ricordato che l’RNA si degrada facilmente nel citosol, il liquido cellulare, in pochi minuti, dunque non lascia effetti di lungo periodo”.