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Il mistero degli over 90 morti di Covid ma non ricoverati in terapia intensiva, gli esperti: "Decorso lieve"

Il report sul Covid-19 presenta una discrepanza fra le tante vittime over 90 e i pochi accessi in terapia intensiva: la spiegazione del mistero

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Gabriele Silvestri

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista, esperto di media, scrive di cronaca, politica e attualità. Laureato in comunicazione alla Sapienza, si è affermato come autore e conduttore di TG e programmi giornalistici. Collabora con diverse redazioni online, emittenti televisive e radiofoniche.

C’è qualcosa che non quadra negli ultimi dati che riguardano i decessi e i ricoveri per Covid-19 tra gli over 90, un vero mistero che riguarda l’alta mortalità in rapporto alla quasi assenza di pazienti di questa fascia in terapia intensiva. Nonostante l’80% dei decessi riguardi persone oltre i 90 anni, pochi di loro finiscono infatti in rianimazione. A rispondere è il virologo Francesco Broccolo, il quale ha chiarito come la mancata necessità di ricevere cure intensive non esclude che l’evoluzione della malattia possa essere sfavorevole.

I morti di Covid over 90 sono un mistero

“I dati indicano che oltre l’80% dei deceduti ha più di 90 anni e contemporaneamente indicano che nelle terapie intensive non ci sono quasi ricoverati di quell’età” ha evidenziato Francesco Broccolo, virologo dell’Università del Salento.

L’analisi, riporta Ansa, è riferita al report settimanale offerto da Istituto Superiore di Sanità e ministero della Salute. I dati testimoniano che i tassi di ricovero e mortalità sono particolarmente alti tra le persone più anziane.


La maggior parte dei decessi di Covid riguardano over 90, ma sono quasi assenti dalle terapie intensive

Per i novantenni e oltre, i ricoveri hanno raggiunto 116 su un milione, mentre l’accesso alle terapie intensive è stato di 1 su un milione dall’inizio di luglio; tra il 6 maggio e il 24 giugno, non vi erano stati casi. Parallelamente, la mortalità in questa fascia d’età è aumentata costantemente: da 1 su un milione il 6 maggio, a 11 l’8 luglio, fino a toccare 29 su un milione il 5 agosto.

Perché i pazienti over 90 non vanno in terapia intensiva

Nonostante la scarsità di ultra-novantenni nelle terapie intensive, non si tratta di decessi che avvengono a casa, poiché molti di loro sono ricoverati nei reparti ordinari, come ha chiarito il virologo.

Infatti, il numero di anziani oltre i 90 anni ospedalizzati è salito da 13 per milione di abitanti il 6 maggio a 110 l’8 luglio, raggiungendo un picco di 173 il 29 luglio, prima di calare nuovamente a 116 il 6 agosto.

“Il decorso della malattia è lieve, si tratta di forme moderate che non fanno innalzare i parametri di saturazione, come quelli relativi alle trombo-embolie, e gli altri parametri critici che richiedono il ricovero in terapia intensiva” ha specificato Broccolo.

“Molti di questi pazienti non manifestano quindi eventi acuti o sintomi clinici gravi tali da giustificare un ricovero in rianimazione. Tuttavia, ciò non significa che non siano a rischio di un’evoluzione sfavorevole della malattia”

La soluzione possibile al problema

Secondo il virologo, è possibile prevedere il rischio utilizzando strumenti diagnostici come quelli basati su biomarcatori specifici per il Covid-19, come il suPar.

Nonostante la disponibilità di questi test, essi non sono ancora ampiamente adottati nella pratica clinica. Tuttavia, questo biomarcatore, ormai riconosciuto come affidabile, consentirebbe secondo Broccolo di anticipare i casi gravi, valutando il livello di risposta immunitaria già all’ingresso in ospedale.

Implementando questa strategia, si potrebbe migliorare significativamente la gestione clinica, riducendo il tasso di mortalità tra i pazienti più fragili.

Fonte foto: iStock

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