Il 28 marzo è la Giornata dell'endometriosi: cos'è, quali sono i sintomi, le cure e quante donne ne soffrono
Il 28 marzo è la Giornata dell’endometriosi, di cui soffre 1 donna su 10: sono tante coloro che tardano a ricevere una diagnosi
Il 28 marzo è la Giornata dell’endometriosi. Si tratta di una malattia ancora in larga parte oggetto di studi a livello internazionale. Spesso non viene riconosciuta e si può arrivare anche a 8 anni per ricevere una diagnosi certa. Alessandra Mele, ginecologa e dirigente medico in servizio presso l’Unità operativa complessa (Uoc) di Ginecologia Ostetricia e Fisiopatologia della riproduzione presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha parlato dei sintomi e delle cure in un’intervista concessa a ‘Virgilio Notizie’.
- Da quando la Giornata dell'endometriosi si celebra il 28 marzo
- Cos'è l'endometriosi e come si cura
- L'intervista ad Alessandra Mele
Da quando la Giornata dell’endometriosi si celebra il 28 marzo
La Giornata mondiale dell’endometriosi cade il 28 marzo ormai da diversi anni.
È stata ufficialmente istituita nel 2014 per porre l’attenzione su una malattia che, in alcuni casi, può essere fortemente invalidante per le donne che ne soffrono.
Cos’è l’endometriosi e come si cura
Le donne che soffrono di endometriosi, circa 3 milioni in Italia, passano diverso tempo alle prese con dolori anche molto intensi, in alcuni casi invalidanti.
Si va quelli pelvici alla sofferenza durante i rapporti sessuali, senza tralasciare fitte e crampi a livello addominale e intestinale.
Un vero e proprio ‘calvario’ aggravato dal fatto che spesso le donne che ne sono colpite non vengono credute e vengono additate come poco propense alla sopportazione di malesseri legati al ciclo mestruale.
L’intervista ad Alessandra Mele
Alessandra Mele, ginecologa e dirigente medico in servizio presso l’UOC di Ginecologia Ostetricia e Fisiopatologia della riproduzione presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ai microfoni di ‘Virgilio Notizie’ ha spiegato che “molto spesso si pensa che i dolori siano normali e tipici della condizione femminile in occasione del ciclo, specie se ne soffrivano anche la madre e la nonna. Nella maggior parte dei casi ci si limita a prescrivere antidolorifici o antinfiammatori, che però non sono risolutivi, senza ipotizzare la sindrome endometriosica”. Ecco l’intervista all’esperta.
Perché si tarda tanto a riconoscere questa patologia, che colpisce 1 donna su 10 in età fertile, secondo le stime?
“Intanto va detto che si tratta di una patologia multifattoriale, cioè legata a più fattori. L’endometriosi è dovuta a infiammazione cronica degli organi genitali femminili e del peritoneo pelvico, dovuta alla presenza anomala in queste zone di cellule endometriali, cioè cellule che dovrebbero trovarsi nell’endometrio (all’interno dell’utero) e che, per motivi non ancora chiari, migrano e si possono trovare in prossimi di organi genitali o addominali, dove si formano lesioni (o cisti) che sono la causa del dolore”, spiega Mele. “Il motivo per cui si tarda a diagnosticarla sono legati anche ai sintomi con i quali si presenta la sindrome”, prosegue l’esperta.
Quali sono i sintomi tipici e come si possono riconoscere?
“Ci sono tre tipi di dolori tipici: quelli mestruali (dismenorrea), che compaiono solitamente non il primo, ma il secondo e terzo giorno di ciclo mensile; quelli nei rapporti sessuali, che sono più ‘profondi’, e quelli pelvici, che in genere sono crampi, fitte o tensione addominale. In tutti e tre i casi all’inizio si è più propensi a pensare ad altre cause, come lo stress, una scarsa lubrificazione, esperienze sessuali precedenti negative, oppure problemi nella digestione, colite, ecc.”, spiega la ginecologa.
Quanto conta, quindi, la componente psicologica?
“Il fattore psicologico può avere un ruolo soprattutto quando è la paziente che è restia a raccontare cosa prova, soprattutto per pudore se i dolori si provano durante i rapporti sessuali, e specie quando non c’è un rapporto di confidenza con il medico – chiarisce Mele – Ma il medico dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi che si possa trattare anche di endometriosi, procedendo con alcuni esami diagnostici, specie se antinfiammatori o antidolorifici non sono risolutivi”.
Come si procede, quindi, con che esami e come si interviene una volta diagnosticata l’endometriosi?
“Premesso che da qualche tempo molti studi stanno indagando anche l’ipotesi che alla base dell’endometriosi ci possa essere un problema di reazione autoimmune alla presenza anomala delle cellule dell’endometrio dove non dovrebbero essersi, l’esame diagnostico per eccellenza è la laparoscopia, che permette di vedere eventuali lesioni o anomalie, come cisti endometriosiche – spiega la ginecologa – In questo caso si può procedere all’asportazione chirurgica, di tipo conservativo, cioè possibilmente senza intaccare la fertilità della paziente”.
Quanto può contare anche l’alimentazione nella riduzione del dolore tipico di questa patologia?
“Come accade per altre patologie croniche, il regime alimentare può contribuire a ridurre il dolore e l’infiammazione. Per questo può essere importante individuare un piano dietetico adatto che combini cibi antinfiammatori e disintossicanti o liberi da ormoni, stimolando anche il sistema immunitario – prosegue l’esperta – Io consiglierei in generale di aumentare il contenuto di fibre nella dieta, che aiutano la digestione e il buon funzionamento dell’intestino. Significa non farsi mancare verdure, cereali integrali, legumi, frutta e semi oleosi. È suggerito anche un aumento dell’assunzione di acidi grassi Omega 3 che aumenta l’azione della prostaglandina nel ridurre l’infiammazione addominale, quindi per esempio salmone, avocado e frutta secca. Sono invece da ridurre le carni rosse (è sempre preferita la carne bianca), i latticini (da assumere in quantità minima) e il glutine da non eliminare completamente, ma preferibilmente da consumare in forma integrale e grezza. Andrebbero evitati i cibi molto processati, l’alcol, la soia, i grassi saturi e le farine bianche, oltre ai dolci molto zuccherati, ad avena e segale, per l’alto contenuto di estrogeni che questi ultimi hanno”.