Farmaci letali a malati Covid, chiesti 24 anni per il primario Carlo Mosca: la sentenza, cosa è stato deciso
Il primario Carlo Mosca, per il quale erano stati chiesti 24 anni di carcere, è stato assolto a Brescia
Scarcerazione immediata per Carlo Mosca, il primario, poi sospeso, del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari che era a processo per la morte di due pazienti deceduti a marzo 2020 nella prima ondata del Covid. La corte d’assise di Brescia ha assolto dall’accusa di omicidio volontario il medico. La sentenza è arrivata dopo due ore di camera di consiglio.
Il pm aveva chiesto 24 anni per Carlo Mosca
Il pm aveva chiesto una condanna a 24 anni di carcere mentre la difesa aveva chiesto l’assoluzione, che è arrivata. Così è stata ordinata l’immediata cessazione della misura degli arresti domiciliari. Disposta la trasmissione degli atti in procura per calunnia nei confronti dei due infermieri che avevano accusato Mosca.
La difesa del primario ha sempre sostenuto che dietro alle accuse mosse al suo cliente c’era “tutta una macchinazione”. Mosca si trovava ai domiciliari dal 25 gennaio 2021, con l’accusa della morte di due pazienti, di 61 e 79 anni, ricoverati a marzo 2020, nel corso della prima tragica ondata Covid che si abbatte sul Bresciano.
Per l’accusa il medico avrebbe somministrato Propofol e Succinilcolina, “farmaci incompatibili con la vita” che andrebbero usati prima dell’intubazione di un paziente. Intubazione che nei casi in questione non è mai stata effettuata.
La difesa di Mosca
“Nessuno ha visto Mosca somministrare i farmaci ma l’intercettazione ambientale del 2 luglio 2020, quando Mosca risponde ‘eh sì’ a chi gli chiede se avesse usato quei farmaci, è stata ritenuta un’ammissione. Ed è alla base, insieme alla presenza del Propofol nel corpo di uno dei cadaveri riesumati, della richiesta d’arresto”, ha argomentato in aula il pm Federica Ceschi.
A denunciare la vicenda è stato un infermiere. Dal canto suo Mosca ha sempre rigettato le accuse mosse nei suoi confronti. “Io non ho somministrato il Propofol. Qualcuno ha voluto farmi del male e può averlo iniettato a paziente già morto”, ha dichiarato il medico. Una “spiegazione fantasiosa, una assurdità”, per il pm Ceschi, per cui “l’unico che ha avuto lo spazio e il tempo per iniettare il Propofol è stato Mosca”.
I legali di Mosca: “Prove costruite”
“Siamo davanti a una serie di prove costruite. A partire dalla chat tra gli infermieri che si scambiano una foto con fiale di farmaci gettate in un cestino”, ha sostenuto l’avvocato della difesa Elena Frigo.
“Due infermieri lo accusano ma in aula si contraddicono, mentre un intero reparto sta dalla porte di Mosca e non crede alle maldicenze diffuse dai due infermieri. Non sappiamo che cosa abbia spinto le due persone a dire quelle cose. Ma riteniamo che l’ipotesi accusatoria sia fantascientifica”, ha aggiunto il legale.
Per l’avvocato Michele Bontempi, del collegio difensivo, “quelle dei due pazienti sono state morti naturali. Avevano plurime patologie ed è esclusa la morte per causa tossica. In un paziente non sono nemmeno state trovate tracce di farmaco, nell’altro ci sono tracce di Propofol anche se non ci sono prove che sia stato l’imputato a somministrarlo”.