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POLITICA ESTERA

Elezioni in Francia con Mélenchon davanti a Macron e Le Pen: chi ha vinto davvero, l'intervista all'esperto

Le elezioni in Francia si sono chiuse con il partito di Jean-Luc Mélenchon davanti a quelli di Macron e Le Pen: chiha vinto davvero, l'analisi di Marco Fioravanti

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Angela Gennaro

GIORNALISTA

Giornalista, podcaster e videomaker, lavora per realtà editoriali nazionali. Fa parte di Lost in Europe dal 2019, su Virgilio Notizie si occupa di diversi temi di attualità e interviste, spaziando dagli Esteri all'Economia, con un'attenzione particolare ai temi di diritti e di genere.

Doveva andare irrimediabilmente a destra, e invece la Francia, all’indomani del ballottaggio delle elezioni, si sveglia da tutt’altra parte. Una parte che, fino a un paio di settimane fa, non sembrava destinata a festeggiare l’alba dell’8 luglio. L’intervista concessa a Virgilio Notizie da Marco Fioravanti, storico, coordinatore corso di laurea in Scienze politiche a Roma Tor Vergata, sul successo della sinistra di Jean-Luc Mélenchon e del suo Nuovo Fronte Popolare, finito davanti a Emmanuel Macron e Marine Le Pen.

Il risultato delle elezioni in Francia

Il risultato del secondo turno delle elezioni legislative in Francia segna un dato politico che vede un chiaro trionfo del Nuovo Fronte Popolare delle sinistre di Jean-Luc Mélenchon.

Avrà la maggioranza relativa e ha tutte le intenzioni di fare la sua parte.

Jean-Luc Mélenchon, leader del Nuovo Fronte Popolare

Jean-Luc Mélenchon e la stoccata a Macron

"Abbiamo ottenuto un risultato che ci dicevano fosse impossibile", commenta a caldo in nottata il leader della sinistra Jean-Luc Mélenchon.

Poi, la prima stoccata a Macron: "La sconfitta del presidente della Repubblica e della sua coalizione è chiaramente confermata. Deve inchinarsi e accettare la sua sconfitta".

La reazione di Marine Le Pen

Marine Le Pen è stata innegabilmente battuta, soprattutto se si ricorda l’aria che tirava, non solo Oltralpe ma in tutta Europa, all’indomani del primo turno: "La marea continua a salire, la nostra vittoria è solo rimandata", dice la leader del Rassemblement National (Rn) Tf1 nei suoi primi commenti dopo le elezioni legislative, con il blocco repubblicano che ha fermato la destra.

E aggiunge: "Ho troppa esperienza per essere delusa da un risultato in cui raddoppieremo il nostro numero di parlamentari". 

Gli scontri nella notte a Parigi, ma non solo

Nel frattempo, nella notte, la festa per la vittoria della sinistra alle elezioni legislative in Francia ha registrato scontri e cariche tra manifestanti, black block e poliziotti a Place de la République a Parigi. 

Incidenti si sono registrati anche in altre città del Paese, con almeno un agente ferito dal lancio di una molotov.

L’intervista a Marco Fioravanti

Chi vince e chi perde davvero? 

"Quello che era il grande vincitore del primo turno, che contava su grandi aspettative per il secondo, e cioè il Rassemblement National di Jordan Bardella e Marine Le Pen, è uscito – poi vedremo di capire tecnicamente perché – fortemente sconfitto. Principalmente per questa astuzia legittima e interessante dei patti di desistenza, che però hanno avuto un prezzo un po’ per tutti. Al contempo devo ricredermi sulle considerazioni che ho fatto fino a pochi giorni: pensavo che l’azzardo di Macron rischiasse di finire in un vicolo cieco. Mi  sembra che invece in parte sia riuscito". 

In che modo?

"È riuscito a metà. Da un lato non si può negare che Ensemble ne sia uscita abbastanza bene: il suo campo non esce sconfitto. Ma a un prezzo molto alto. Quella che in Francia chiamano la macronie ne esce ferita, a vantaggio del vero vincitore che è il Nuovo Fronte Popolare. Questa la lettura immediata. Poi ovviamente, per i prossimi giorni, ci sarà un grande cambiamento dell’equilibrio istituzionale. La cosa più evidente, e secondo me non negativa, è che nel bene o nel male Fronte Popolare che sia, Macron o centro, il potere dall’Eliseo torna all’organo legislativo, l’assemblea nazionale. E questa secondo me è una vittoria della democrazia. La democrazia ringrazia". 

Quindi il RN è stato fermato solo grazie ai patti di desistenza, quegli accordi elettorali con cui una lista rinuncia a presentarsi in uno o più collegi per far convergere il proprio elettorato su un’altra lista concorrente in quel collegio – e in questo caso contro il nemico comune, ovvero i candidati e le candidate del Rassemblement National – o c’è altro? 

"Quei patti riguardavano comunque più di 200 seggi e sicuramente hanno fatto la differenza, ma non sono il solo fattore. Queste elezioni hanno confermato che c’è una Francia che in fondo si è mobilitata contro una deriva sovranista e identitaria. Non voglio leggerla in maniera troppo enfatica, ma non si può negare che il Paese, nella sua stragrande maggioranza, ha detto di no. Ma voglio tornare sui patti di desistenza: mi ha colpito quanto accaduto a Tourcoing, nella circoscrizione, periferica ma importante, in cui era candidato il ministro dell’Interno Gérald Darmanin. Al secondo turno era passata anche la France Insoumise, la cui candidata ha fatto alla fine un passo indietro e detto: votate Darmanin. Non fosse successo, avrebbe vinto senza dubbio Bastien Verbrugghe di RN. Un caso secondo me paradigmatico di scelte anche costose. Il doppio turno ha sempre penalizzato RN, è pensato proprio per attenuare il potere degli estremismi, e questo nel bene e nel male". 

"Il Nuovo Fronte Popolare deve governare". "I francesi hanno respinto la soluzione peggiore". Macron "deve inchinarsi e accettare la sua sconfitta". Sono le parole a caldo di Mélenchon. Cosa può chiedere ora il leader della sinistra? 

"Riconosco il linguaggio del tribuno del Popolo. Molto enfatico, sempre sopra le righe e devo dire anche retorico, a volte in modo un po’ stucchevole. Ma la realtà dei fatti è che sicuramente il presidente della Repubblica non può non tenere conto di questi aspetti. Gli equilibri sono tali che gli scenari nell’immediato sono molteplici. Non è così scontata, appunto, una designazione di Mélenchon o di una persona del Fronte Popolare alla presidenza del Consiglio, perché un Governo di coalizione potrebbe prevedere per esempio non dico un tecnico – un’ipotesi abbastanza impensabile in Francia – ma un personaggio intermedio di raccordo tra questi mondi. Del resto, va detto, lo stesso Mélenchon non si è mai candidato a fare il presidente del Consiglio. Secondo me Mélenchon pensa al 2027. Potrei sbagliarmi, certo, ma mi sembra proiettato al 2027 come sua ultima chance di fare il presidente della Repubblica". 

Mélenchon non è il solo a pensare al 2027. Per Marine Le Pen "la vittoria è solo rimandata" e la leader del Rassemblement National, sconfitta per due volte da Emmanuel Macron nelle presidenziali del 2017 e del 2022, sogna più che mai la rivincita.

"È molto probabile che si scontreranno tra tre anni". 

In Europa c’è chi vede segnali di rinascita dalle macerie del mondo della sinistra, dopo il risultato delle elezioni in Inghilterra e ora con la Francia. Concorda?  

"Sarei cauto a mettere insieme Keir Starmer, che è diciamo la destra del Labour nel Regno Unito, e il risultato francese. Il prezzo che ha pagato Starmer è quello di un estremo spostamento al centro con qualche piccolo residuo. Detto questo, sono dei segnali che utilizzerei con cautela nell’estenderli a livello più globale, per esempio all’Italia". 

C’è il rischio di ingovernabilità ora per la Francia?

"Costituzionalisti sia italiani sia francesi assicurano che il modello d’Oltralpe funziona anche nella coabitazione. Probabilmente è vero, lo diceva in questi giorni Dominique Rousseau, bravo costituzionalista della Sorbona. Questo è vero, perché il sistema costituzionale prevede anche questo. Ma prevede la coabitazione tra culture molto simili e non così riottose: Mélenchon e Macron, in questo caso, sono certamente molto diversi". 

E Mélenchon è a sua volta personaggio che si porta dietro molte critiche, non ultima quella di antisemitismo. 

"I problemi politici di Mélenchon sono fatti di un certo settarismo, sciovinismo, a suo modo un sovranismo di sinistra, un certo populismo. Non ultimo l’antisemitismo, ma su quello andrei più cauto. Vi è certamente una forte parte dell’elettorato di Mélenchon filo-palestinese, e che considera Hamas non un movimento terroristico ma di resistenza. E questo, a mio avviso, non è antisemitismo. E poi c’è qualche singolo caso che è stato anche stigmatizzato. Direi che i problemi sono più quelli che citavo sopra e non quello dell’antisemitismo che non vedo in termini estremi nella France Insoumise".

Fonte foto: ANSA

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