Crisi di Governo in Germania, cambia il ministro dell'Economia: i possibili effetti per l'Italia e l'Europa
Da una parte gli Stati Uniti che col ritorno di Donald Trump annunciano nuovi dazi, dall'altra l'Ue alle prese con la crisi di Governo in Germania: i possibili effetti
Alle difficoltà economiche che la Germania sta registrando negli ultimi mesi, si sono aggiunte quelle politiche. Dopo il licenziamento del liberale Christian Lindner dall’incarico di ministro dell’Economia e la sua sostituzione con Joerg Kukies, è crisi di Governo. Per il cancelliere Olaf Scholz è arrivato il momento di incontrare il leader dell’opposizione, Friedrich Merz (CDU): l’obiettivo è stilare un cronoprogramma su come procedere fino a nuove elezioni, come anticipato da Der Spiegel. L’analisi di Manlio Graziano, esperto di Geopolitica e docente all’Università di Paris-Sorbonne.
- Crisi di Governo, Germania verso nuove elezioni
- Dal voto di fiducia ai nuovi scenari
- L'intervista a Manlio Graziano
Crisi di Governo, Germania verso nuove elezioni
Lo spettro di nuove elezioni è stato rimandato all’inizio del 2025.
La decisione di tornare alle urne è un atto dovuto, dopo la crisi del cosiddetto Governo semaforo, guidato da SPD (socialdemocratici) insieme a Verdi e FDP (liberaldemocratici).
La situazione è esplosa dopo il sollevamento dall’incarico di Christian Lindner (sostituito da Scholz con Joerg Kukies, suo ex consigliere economico), a sua volta legato all’uscita dei ministri liberali dall’Esecutivo.
Dal voto di fiducia ai nuovi scenari
Di fronte all’impasse, il gruppo parlamentare CDU/CSU (cristiano-democratici e cristiano-socialisti) ha chiesto a Scholz che sia posta la questione di fiducia al Bundestag, il Parlamento tedesco, già la prossima settimana.
Friedrich Merz, capogruppo dell’Unione, è convinto che non ci siano più le basi per un’alleanza tra SPD, Verdi e FDP: “Non c’è assolutamente motivo per aspettare fino a gennaio per chiedere un voto di fiducia. Deve essere chiesto al più tardi all’inizio della prossima settimana”.
L’intervista a Manlio Graziano
Quello tedesco appare come un terremoto, che però rischia di non rimanere circoscritto alla sola Germania. C’è il rischio di ripercussioni sul resto dell’Europa?
“Direi di sì. Mentre tutti, nelle scorse ore, erano concentrati sull’esito delle elezioni presidenziali statunitensi, in Europa si stava verificando qualcosa di importante. Temo che la prima conseguenze possa essere un ulteriore indebolimento dell’Unione stessa”.
Non si tratterebbe, quindi, solo di una questione di politica interna. Perché?
“Giusto pochi giorni fa discutevamo con alcuni studenti del momento che sta vivendo l’Europa, di forte debolezza. Le due ‘gambe’ su sui storicamente si regge, infatti, sono Francia e Germania ed entrambe stanno attraversando un periodo di fragilità. Parigi ha un Governo molto debole e minoritario, non sa neppure se sopravviverà all’approvazione della legge finanziaria; Berlino poteva contare finora su un esecutivo altrettanto poco solido, che ora di fatto è venuto meno”.
Il Governo Scholz afferma l’intenzione di proseguire, seppure con la prospettiva di un voto anticipato. Come potrà andare avanti, essendo venuto meno l’appoggio dei liberal-democratici?
“Scholz ha affermato di voler chiedere la fiducia a gennaio, mentre le opposizioni incalzano perché l’esecutivo si presenti in Parlamento già nei prossimi giorni. In ogni caso il Governo ‘semaforo’ appariva fragile fin dall’inizio. Quella maggioranza non aveva basi solide, prima o poi ci si doveva aspettare un crollo. D’altro canto mettere insieme verdi, liberali e socialdemocratici non era impresa facile”.
Sono lontani i tempi dei Governi tedeschi di grande tenuta, come nel caso di quelli guidati da Angela Merkel?
“Con Merkel si è avuta la cosiddetta ‘Grande coalizione’ che era composta da partiti che, seppure con alcune divergenze, avevano una visione univoca sugli obiettivi, specie in chiave europea. In questo caso non era così. Poi va aggiunta anche la statura politica e personale dei due leader, Merkel e Scholz, con quest’ultimo che era considerato un Cancelliere debole fin dall’inizio. D’altro è anche indubbio che i socialdemocratici non sono più riusciti a produrre un leader carismatico dopo i tempi di Gerard Schoeder”.
Cosa potrebbe accadere, allora, a livello europeo?
“Quanto accaduto dimostra che l’Unione europea sta vivendo un momento delicato. La crisi economica e politica della Germania in recessione, la Francia alle prese con una situazione politica analoga e un debito pubblico così importante sono fanno bene all’Europa. Inoltre si sta assistendo a un progressivo spostamento verso la destra, che ha riguardato Paesi come Olanda, Svezia, Belgio, Austria e, è plausibile, la stessa Francia nei prossimi due anni”.
L’affermazione dei nazionalisti potrà cambiare il volto europeo, proprio mentre negli Usa si insedierà un Presidente, come Donald Trump, ritenuto più “isolazionista” e meno aperto al dialogo con l’Unione europea?
“Temo che, siccome l’internazionale dei nazionalisti non è possibile, ciascuno tirerà la coperta dalla propria parte, specie su temi caldi come l’immigrazione. Il problema è sempre il solito: ci sono partiti che storicamente sono più orientati nella difesa del progetto europeo, ma che oggi sono in crisi, e altri che ne sono più distanti, come quelli nazionalisti, che oggi mostrano maggiore soddisfazione anche nei confronti della vittoria di Trump. Uno su tutti è quello del premier ungherese Orban”.
L’Europa, quindi, è chiamata a uno sforzo maggiore per mantenere l’unità?
“Sì, anche perché se l’Unione europea si indebolisce, si indeboliscono tutti gli Stati europei, Italia compresa. Non è pensabile che singolarmente si possano affrontare realtà economiche, per esempio, come quella cinese. Nessuno da solo può competere e la dimostrazione è data dal Regno Unito: la Brexit non ha portato a un rafforzamento, al contrario”.