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Cosa sappiamo (e non) sul Long Covid: l'esperto su sintomi e cure

L'intervista in esclusiva al professor Rizzi, tra i dirigenti dell'ospedale di Bergamo e consigliere dell'OMS: come si manifesta il Covid dopo il Covid

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Non tutto finisce con un tampone negativo. A volte capita che la stretta della malattia prosegua anche molto oltre: è questo, in poche parole, il Long Covid. Il Covid dopo il Covid è attualmente oggetto di studio da parte della comunità scientifica, ma non tutto è stato messo a fuoco dalle ricerche. Non sarebbe potuto essere altrimenti: di tempo, infatti, non ce n’è stato abbastanza.

Nel frattempo, sui social sono spuntati gruppi di ascolto e di supporto reciproco, in cui gli ex positivi raccontano le proprie esperienze. Tra le righe delle conversazioni si coglie preoccupazione e smarrimento. Ed è anche per questo che la redazione di Virgilio Notizie ha deciso di intervistare in esclusiva il dottor Marco Rizzi, direttore dell’Unità di Malattie Infettive dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Grazie alla sua disponibilità, abbiamo messo insieme, per quanto possibile in un’intervista, i punti fermi di un campo, tuttavia, ancora da esplorare.

L’unità del dottor Rizzi, che è anche consulente dell’OMS, ha prodotto uno dei pochi studi italiani sul Long Covid. La prospettiva era infatti privilegiata: Bergamo è stato uno dei primi epicentri, a livello mondiale, della malattia che ha sconvolto il pianeta nell’ultimo anno e mezzo. Su un campione di 767 pazienti (questi i dati della prima parte dello studio), osservati a 81 giorni in media di distanza dall’infezione, il 51,% ancora lamenta sintomi e il 30,5% presenta conseguenze psicologiche post-traumatiche. Ma questi sono cifre che assumono un significato più completo se rapportate in un contesto più ampio.

Che cos’è il Long Covid e quali sono i sintomi?

In realtà c’è ancora molto dibattito su cosa si intenda per “Long Covid”. Per il momento, quindi, utilizziamo definizioni provvisorie, tra le quali la più adottata, quella dell’agenzia inglese NICE, fa distinzione tra un Covid con sintomi presenti e persistenti, dalle 4 alle 12 settimane, e un Long Covid i cui sintomi si estendono oltre le 12 settimane. Questi ultimi ricadono in almeno tre ambiti: il primo riguarda le conseguenze a un danno d’organo, ad esempio difficoltà respiratoria, problemi trombotici o neurologici. Si tratta della tipologia più facile da oggettivare tramite esami di laboratorio.

E le altre due categorie quali sono?

Il secondo ambito è tipico di chi ha sperimentato la malattia nella fase più acuta: i sintomi, tra gli altri, annoverano stanchezza, perdita di massa muscolare o difficoltà a deglutire. Anche in questo caso, disponiamo degli strumenti capaci di misurare e dimostrare l’esistenza dei sintomi. Il terzo ambito è tra tutti il più difficile da misurare. Riguarda una costellazione di effetti non correlati a quanto grave e protratta sia stata la malattia e che includono, in molti casi, la mancanza di forze, disturbi nel ritmo sonno-veglia, difficoltà di concentrazione, cefalea, dolori muscolari o persistenti disturbi dell’olfatto. La loro comparsa, inoltre, può essere intermittente nel tempo.

Esistono categorie di pazienti più a rischio di altre?

L’insieme dei problemi legati al Long Covid sembra più frequente nel sesso femminile, mentre l’età non risulta, per il momento, una discriminante. Certo, per quanto riguarda la seconda categoria, quella di chi sta sperimentando le conseguenze della malattia acuta a lungo termine, sono più numerosi i soggetti deboli o anziani, cioè quelli più a rischio. Ma se spostiamo l’attenzione sul terzo gruppo, che comprende i sintomi difficili da oggettivare, non osserviamo alcuna correlazione con l’età.

Nei bambini il Long Covid presenta sintomi particolari?

Purtroppo non abbiamo a disposizione numeri solidi sui bambini, quindi sarebbe prematuro trarre conclusioni.

Che possibilità ci sono che i sintomi del Long Covid siano a lunghissimo termine o addirittura permanenti?

Nel caso di danno a organi si sa che il Covid lascerà una cicatrice. Sui soggetti che rientrano nel terzo gruppo, invece, ancora non si hanno certezze. Abbiamo osservato persone con più di un anno di storia clinica alle spalle sperimentare una diminuzione nell’intensità dei sintomi. In altre occasioni, l’andamento è stato altalenante, con effetti che si sono attenuati e poi ripresentati.

Si è ancora contagiosi se si hanno i sintomi del Long Covid?

Non esiste nessuna correlazione tra sintomi e replicazione virale, quindi, in linea di massima, la contagiosità sarebbe da escludere.

Esiste una cura?

Per alcune persone è importante innanzitutto che venga capito e riconosciuto un sintomo che non riesce a essere dimostrato. Diversi pazienti non si sentono più quelli di prima, ma non riescono a certificare la propria condizione al datore di lavoro o all’Inail. Riconoscere il problema può essere quindi un aiuto importante. Detto questo, al di là di trattamenti individuali per i sintomatici dei primi due gruppi, o di farmaci che, ad esempio, aiutano ad attenuare l’ansia, ancora non abbiamo a disposizione una terapia che abbia una validità generale.

Alcuni sintomi vengono, da non specialisti, ricondotti al periodo di stress che molti stanno vivendo a causa dei reiterati lockdown. È una possibilità?

Questo è uno degli aspetti problematici per noi ricercatori. Ad esempio, se si diffonde la cognizione di un sintomo, è possibile che alcuni pazienti si convincano di esserne affetti, magari perché ne hanno sentito parlare da conoscenti, oppure online. Tutto sta nel capire quante esperienze siano effettivamente riconducibili al Covid e quante, invece, rappresentino soltanto rumore di fondo. È innegabile, tuttavia, che i numeri ci parlano di un nucleo forte e significativo di persone per le quali qualcosa è cambiato davvero.

Quali aspetti del Long Covid necessitano di essere messi a fuoco dalla ricerca?

Da un lato è indispensabile definire meglio i numeri, in modo da capire quanto durano e quanto siano cronici i sintomi del Long Covid. Inoltre, è importante individuare le persone a rischio per offrire assistenza e terapie a chi ne ha più bisogno.

Cos’altro?

Sul Long Covid circolano troppe ricette, troppe proposte, troppe idee, insomma tutto e il contrario di tutto. Invece sarebbe utile definire criteri interpretativi sulla base dei quali disegnare interventi da standardizzare a livello globale.

Cosa consiglia di fare a un paziente affetto da Long Covid?

Ai pazienti dico: sappiamo che il problema esiste. Nei suoi esatti termini ancora non è chiaro a tutta la comunità medica, quindi è comprensibile che il vostro specialista non sappia bene cosa dirvi. Di preciso, nessuno di noi lo sa. È una questione che stiamo imparando a conoscere. Presto avremo qualcosa in più da dire e da fare. Sul tema è stato fatto un grande l’investimento in ricerca.

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