Casi di vaiolo delle scimmie in Toscana salgono a 13, intervista a Matteo Bassetti: "Migliaia in ultimi anni"
L'infettivologo Matteo Bassetti sull'aumento dei casi di vaiolo in Toscana: “Migliaia negli ultimi due anni, ma questo nome crea stigma come per l’Hiv”
Dopo diversi mesi, si torna a parlare di vaiolo delle scimmie. In particolare in Toscana dove si sono registrati 13 nuovi casi. Immediate le indagini epidemiologiche da parte dei servizi di igiene pubblica, per tracciare i contatti dei pazienti affetti dal virus monkeypox, responsabile della malattia. L’intervista a Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, ai microfoni di Virgilio Notizie.
I casi di vaiolo delle scimmie in Toscana
Secondo quanto accertato finora il contagio risalirebbe al periodo delle festività natalizie.
Le 13 persone coinvolte sono state poste in isolamento, mettendo in atto le misure per evitare la diffusione del virus.
Come ha spiegato Pierluigi Blanc, infettivologo dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Firenze, “nessun allarmismo sul vaiolo delle scimmie dopo i casi registrati a Firenze, ma è chiaro che la vaccinazione deve essere consigliata alle persone con infezione da Hiv e a quelle persone che appartengono alle categorie a rischio ben individuate dai comunicati del Ministero della salute e dalla Regione”.
Il nome discriminatorio
Da tempo l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha deciso di cambiare il nome della malattia, ritenuto troppo discriminatorio: “Da oltre un anno si parla di Mpox, che sta per Monkey Pox” chiarisce l’infettivologo Matteo Bassetti a Virgilio Notizie.
“Quanto ai nuovi casi non credo si debba creare allarmismo: ormai conviviamo con questa malattia, che abbiamo imparato da conoscere da due anni a questa parte. Il picco di contagi sembra superato, ma non bisogna abbassare la guardia”, ha aggiunto.
L’intervista a Matteo Bassetti
Quali sono i rischi per la popolazione generale?
“Non c’è nulla di cui preoccuparsi e soprattutto in questo caso non possiamo parlare minimamente di epidemia. Dopo il 2022, quando si registrarono decine di migliaia di casi in Italia, oggi la situazione è sotto controllo”.
Cosa è cambiato da allora?
“Nel 2022, appena usciti dall’emergenza pandemica per il Covid, l’Italia si ritrovò tra i primi 10 posti al mondo per numero di casi di Mpox, insieme a Spagna, Regno Unito, Stati Uniti e Brasile. Oggi sappiamo che è un’infezione che si può presentare anche abbastanza facilmente, trasmissibile sessualmente, e che colpisce prioritariamente uomini che hanno avuto rapporti uomini”.
Come si spiega questo numero di casi in Toscana, in un’area così concentrata?
“Si tratta di un cluster che probabilmente è connesso a qualche festa od occasione legata in qualche modo a una serie di rapporti sessuali stretti, che hanno fatto da veicolo alla trasmissione del virus. Ma non mi preoccuperei, perché nei mesi scorsi abbiamo visto che il sistema sanitario ha risposto prontamente a questa nuova realtà, soprattutto offrendo le vaccinazioni alle categorie a rischio, presso gli ambulatori e le strutture deputate”.
La malattia ha come sintomi caratteristici febbre, cefalea, dolori muscolari, linfoadenopatia ed eruzioni cutanee dopo i primi giorni dall’infezione. Ma quali sono i rischi e le cure per chi la contrae?
“È una patologia che generalmente si autolimita, salvo alcune forme rare e invasive. Non ha bisogno di alcuna terapia specifica, fatta eccezione per i casi nei quali occorre una piccola rimozione chirurgica delle lesioni che può provocare. Ma, a differenza del papilloma virus, che pure si trasmette sessualmente, non ha una evoluzione verso forme tumorali”.
La prevenzione, quindi, rimane la principale arma a disposizione?
“Sì, e devo dire che in Italia è stata offerta e gestita molto bene, senza troppo clamore e reclamizzazione. Chi apparteneva e appartiene alla categoria a rischio, quindi soprattutto uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, si è recato presso gli ambulatori per ricevere il vaccino. Anche l’uso del preservativo ne limita la diffusione”.
Perché, allora, quello che viene chiamato ancora comunemente vaiolo delle scimmie spaventa così tanto?
“Il motivo principale sta anche nel nome che le era stato dato inizialmente: non ha aiutato. Anzi, si è creato un vero e proprio stigma sociale intorno a questa infezione, esattamente come accaduto con l’HIV 30 anni fa. Bisognerebbe smettere di trattare queste malattie con il metro del giudizio e della critica: sono patologie come le altre, che hanno le stesse modalità di prevenzione e discussione, e dovrebbero essere affrontate in maniera analoga”.
Qual è l’altro motivo per cui desta tanta attenzione?
“Credo che l’altro motivo abbia a che fare con quello che è poi il principale strumento di protezione, ossia il vaccino. Da due anni a questa parte, ogni volta che accade qualcosa di negativo viene data la colpa ai vaccini, invece il caso dell’Mpox dimostra che non è così: il vaccino funziona e permette di limitarne la diffusione”.
Perché ci si riferisce solo agli ultimi due anni?
“Perché il virus è stato scoperto da poco, in questo lasso di tempo. Certo, bisognerà vedere se ci sarà una qualche evoluzione, ma al momento sembra sotto controllo. Precedentemente si ritiene ci fossero solo limitati cluster in Africa, che contavano poche centinaia di casi. Poi nel 2022 è esplosa, con 100 mila casi e oltre nel mondo, a partire da Regno Unito e Spagna. Ma non dimentichiamo che riguarda soprattutto comunità chiuse, come quelle degli omosessuali”.